Brexit, sport e rugby: cosa cambia (o meglio potrebbe cambiare) dopo il voto “Leave”

Anche il mondo sportivo deve fare i conti con gli esiti del voto. In che modo?

ph. Ed Sykes/Action Images

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La Gran Bretagna ha scelto e dopo il voto di giovedì 23 giugno è ufficiale la Brexit, ovvero l’addio all’Europa. Il nuovo scenario ha implicazioni anche nel mondo dello sport e in particolare del rugby? Facciamo un po’ di ordine.

 

A lanciare l’allarme dalle pagine di The Rugby Paper era stato nelle scorse settimane il managing director di Newcastle, club che milita nel massimo campionato inglese, Mick Hogan, che aveva evidenziato l’implicazione che l’esito del voto avrebbe avuto per tutti i giocatori oversea, ovvero gli stranieri che militano in club UK (gruppo italiano compreso). E ad essere interessati non sarebbero solo cittadini di altri stati membri ma anche i cosiddetti “Kolpak players” (dalla sentenza Kolpak), ovvero appartenenti a paesi (tra cui Sudafrica e isole del Pacifico) che hanno firmato l’Association Agreement e i cui cittadini hanno all’interno della UE la medesima libertà di movimento e lavoro dei cittadini europei. “Un’uscita dall’Unione Europea complicherebbe di molto la possibilità di tesserare giocatori stranieri, anche quelli provenienti da altri stati membri – ha dichiarato Mick Hogan – E’ un’opzione che dobbiamo considerare perché potrebbe avere conseguenze importanti”.

 

Ma al giorno d’oggi quali sono le possibilità per un giocatore oversea e non soggetto a libera circolazione di ottenere un work permit e giocare come professionista nel Regno Unito? Se il giocatore stesso o il coniuge o un suo long-term partner possiede un passaporto rilasciato da uno Stato membro (ed è il caso anche di chi, come il neozelandese Anscombe, ha un genitore nato in UK) / Se il giocatore stesso o il coniuge o un suo long-term partner ha un nonno nato in UK / Se il giocatore nei 15 mesi precedenti ha giocato da titolare in un Test Match per una nazionale Tier 1 o 2 non appartenente all’area UE. Per tutti i giocatori provenienti dagli altri paesi, invece, deve aver collezionato almeno 10 caps di cui uno da titolare: solo così RFU, SRU or WRU (federazione inglese, scozzese e gallese) danno il proprio placet affinché venga offerto il contratto.

 

E poi c’è la questione, diversa, del limite di utilizzo. Nei match di Premiership, Pro12 e nelle due maggiori coppe europee il limite è di 2 giocatori stranieri (i cosiddetti “Kolpak players” non lo sono). Immaginare lo scenario è ora necessario e ad essere coinvolti sono tanti sport, alcuni dei quali più oversea dipendenti del rugby (“L’impatto per la Premier League di calcio nel breve periodo sarebbe enorme”, ha dichiarato alla BBC il procuratore Rachel Anderson, tanto che si parla di più di 300 calciatori del massimo campionato inglese da “regolarizzare” o comunque la cui posizione va riveduta). Tra nuovi accordi bilaterali, possibilità di bypassare i regolamenti e quant’altro non dovrebbe essere difficile superare il possibile ostacolo. Ma giusto  a titolo di esempio, se le cosse dovessero restare come sono oggi un giocatore come il francese Picamoles potrebbe ottenere il work permit, l’uncapped Derrick Appiah no (attenzione a non confondere la possibilità di ottenere il permesso di lavoro con l’effettivo utilizzo del giocatore, che deve rispettare il paletto dei 2 stranieri in lista). Limite quest’ultimo stabilito dalle singole federazioni e pertanto facilmente superabile. Quello che sembra certo, in attesa di comunicazioni e decisioni ufficiali, è che la Brexit potrebbe essere, per tutte le federazioni coinvolte di qualsiasi sport, un incentivo a puntare maggiormente su vivaio e settori giovanili. Resta comunque difficile immaginare che non vi saranno adeguamenti anche se, dato il livello della Premiership, trovare un oversea non soggetto a libera circolazione e che non rientri nei tre suddetti casi non è scontato come sembra. Maggiori implicazioni potrebbero esserci a livello di Championship, la seconda competizione inglese.

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