In vista delle elezioni federali del 15 settembre si moltiplicano appelli e polemiche. Ma anche domande e risposte
Questa mattina ho pubblicato una lettera aperta che la GIRA – il nuovo sindacato dei giocatori – ha diffuso per fare alcune domande ai candidati FIR per la carica di presidente.
Il primo a rispondere è Gianni Amore. Ecco quello che scrive:
RISPOSTA ALLA 1º DOMANDA
Alle prime due domande si può rispondere solo sì e in aggiunta riaffermare la perplessità di essere arrivati alle elezioni senza aver pensato prima a queste difformità elettorali che penalizzano chi meglio degli altri incarna la figura del giocatore di rugby.
RISPOSTA ALLA 2º DOMANDA
Il problema di ricorrere a garanzie finanziarie, sempre più difficili da ottenere, secondo il mio punto di vista è un modo fittizio di affrontare un problema molto più grave che riconfermerebbe un atteggiamento coercitivo della FIR verso le società che è il momento di trasformare in una sana e sincera collaborazione.
Questa dovrà partire per prima dalla FIR, che dando un esempio di correttezza e trasparenza gestionale renderà pubblici i propri bilanci sul database federale, sul quale le stesse società avranno l’obbligo di rendere consultabili dalla FIR i propri, perché siano valutati in relazione alla stessa trasparenza e correttezza gestionale.
In questo contesto, ogni giocatore saprà che andrà a giocare in una società capace di gestire e rispettare gli impegni finanziari e per una FIR che amministra in modo corretto i fondi pubblici.
Altre soluzioni possono replicare situazioni come quelle di Aironi, dove le fideiussioni si sprecavano a parole, ma non nei fatti.
ll problema va affrontato correttamente fissando prima questi concetti:
– il professionismo in Italia, per il momento non può essere chiamato tale, come lo è in Francia o in Inghilterra perché il movimento è povero di seguito popolare e mediatico e quindi di sponsor e di risorse economiche autonome (non federali).
– o si accetta questa inesorabile realtà o si genereranno sempre situazioni analoghe a quelle descritte nella vostra lettera, frutto di enormi ipocrisie elettorali e non
– si deve quindi procedere ad una riforma del professionismo che lo trasformi da una caricatura a qualcosa di più serio e durevole.
Nella situazione attuale non è corretto fare facili promesse elettorali quando tutto il contesto non può consentire di andare per strade che non sono percorribili. Dobbiamo cioè chiamare le cose col loro nome e creare le condizioni perché un giovane che intenda e che abbia le qualità di “vivere di rugby” possa farlo diventare il proprio mestiere, iniziando come giocatore e rimanendo nell’ambito del mondo rugbystico, con il sostegno e l’aiuto della FIR.
Nella mia riforma del professionismo sono già allo studio delle forme di appartenenza professionale al rugby italiano che non ho inteso rendere pubbliche per la forte creatività e innovazione in esse contenute che avrebbero generato errate interpretazioni. Ho cioè già individuato una soluzione idonea a mantenere all’interno del movimento quelle forze preziose che invece di abbandonarlo per ragioni economiche, possano contribuire a renderlo sempre più forte con l’apporto della loro esperienza e capacità. Io non credo cioè al giocatore che in accademia diventa bravo giocatore e contemporaneamente commercialista, non farà bene né l’uno né l’altro.
Credo in una figura molto professionale che si occupa di rugby giocato e non.
– a questo punto mi devo sbilanciare in merito alle scelte libere di un giocatore.
E cioè se voglio rafforzare i campionati italiani devo disincentivare l’esodo dei giocatori all’estero, ma al tempo stesso, devo essere consapevole che la peggiore delle cose è quella di negare libertà alle persone e di non consentire loro di ottenere il massimo dalle proprie capacità che alimentano motivazione e impegno.
– la mia convinzione su questo punto delicato è che, se come primo obiettivo la FIR si porrà l’aumento dei giocatori, aumenterà di conseguenza il livello qualitativo degli stessi. Quando uno di questi è un fuoriclasse, i club italiani avranno il diritto e i mezzi per impedirgli di andare dove vuole? Io ritengo di no! E quindi se uno ci scappa all’estero, ce ne saranno altri dieci pronti a sostituirlo e intanto che quello diventa ancora più forte, intanto che resta italiano, rafforza la nazionale e favorisce lo scambio di esperienza di cui ogni paese ha bisogno…e tutto ciò non può far altro che rafforzare il movimento e di conseguenza i campionati. Ci sono forse altre Union che impediscono questo e che per questa ragione hanno campionati di basso livello?
– per concludere diciamo comunque che se ci sarà un maggior numero di giocatori di qualità italiani, ci sarà anche meno spazio per giocatori stranieri in fine carriera.
– perché il concetto di “vivere di rugby” sia perfettamente chiaro, ripeto che se il rugby diventa mestiere e non professione non si possono concepire cifre da professionisti superpagati, soprattutto se il soggetto rientra negli organi federali. Ciò però non deve precludere il libero agire di un mercato aperto, che consenta ad ognuno di accettare altre proposte. Proposte che lo sottraggono però ad una scelta più tranquilla come quella di un’ adozione federale di stampo più previdenziale e assicurativo che professionistico.
In pratica se un giocatore decide di andare in Francia, il rapporto con la FiR potrà essere solo di tipo professionale.
– Il tutto nella attesa di arrivare a raggiungere il livello delle altre nazioni, con una saggia progressione verso un vero professionismo che faccia tesoro dei problemi che hanno cominciato a colpire quegli stessi paesi e che per avere un esempio ancor più calzante, stanno facendo fare grosse retromarce al nostro calcio nazionale.
RISPOSTA ALLA 3º DOMANDA
Per rispondere all’ultima domanda, io ritengo che nel periodo di attività agonistica, un giocatore sia meno interessato ad occuparsi di una coscienza sindacale di quanto non lo possa essere verso fine carriera. Perché ciò che voi chiedete sia realizzabile, si deve saper fare bene il sindacalista e sapersi movere nella politica sportiva, sicuramente diversa da un campo di gioco.
Nel concetto di mestiere di rugbista, già presente nel mio programma e per il quale ho trovato condivisione di intenti con Roberto Pedrazzi, candidato consigliere per la mia squadra già attivo e sensibile riguardo questi problemi, sarà prevista l’evoluzione da giocatore a tecnico, a preparatore, a dirigente ed anche a sindacalista, perché se stanno bene i giocatori, stanno bene le società e tutto il movimento.
Gianni Amore
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