Il giocatore parla della sua scelta. E non si tira indietro quando si tratta di parlare del nostro (presunto) professionismo
Era a Prato, era in Nazionale. Ma ha deciso di ripartire da capo o quasi.
Roberto Parretta per La Gazzetta dello Sport – Roma
Alla Capitolina era sbocciato, alla Capitolina vuole rilanciarsi. In mezzo, tre stagioni di alti e bassi: dai 14 cap messi assieme in azzurro (compresi i Mondiali neozelandesi di un anno fa e il tour nelle Americhe dello scorso giugno), alla difficoltà di imporsi mista allo scarso appoggio trovato a Rovigo, con gli Aironi in Celtic League e di nuovo in Eccellenza a Prato (24 presenze tra Eccellenza e Challenge Cup). È la storia di Riccardo Bocchino, l’ex predestinato, colui che nel 2009 veniva indicato come futura apertura della Nazionale italiana.
Oggi Bocchino ha maturato una scelta controcorrente, ha deciso di lasciare il rugby del presunto professionismo per tornare a viverlo come una passione in A1. Ma se gli parli di una scelta di cuore, lui ti risponde con la logica.
«Dopo il tour mi era stata proposta la possibilità di andare alle Zebre, ma non ho condiviso il progetto e ho rivisto i miei obiettivi di vita — spiega —. Ho cercato una soluzione che mi permettesse di gestire l’impegno sportivo in modo più libero e autonomo e di abbinare a questo lo studio. Qualche contatto dall’Eccellenza l’ho
avuto, ma non vedo i presupposti di quello che viene definito professionismo: non
penso sia sufficiente un impegno di due allenamenti al giorno in un sistema che, proprio
perché lo definiamo tale, dovrebbe dare anche una certa sicurezza economica per
il presente e in parte anche per il futuro. E questo, purtroppo, non può essere garantito
dalle squadre dell’Eccellenza. A Prato, per quanto mi sia trovato bene, da marzo
non ho più percepito lo stipendio fino a poco tempo fa e ancora stiamo andando avanti.
Se questa è la situazione di una delle migliori squadre in circolazione, non penso si possa parlare di professionismo».
(…) L’ex predestinato avrebbe dovuto raccogliere l’eredità di Diego Dominguez in azzurro: ma perché in Italia è così difficile costruire un mediano d’apertura?
«In un ruolo così tecnico serve una particolare cura del giocatore, che va seguito in
maniera più sostanziosa e accurata nell’ambito di un processo di crescita». (…)
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