Parole ripetute in ogni occasione da tutti i candidati: e sul banco degli imputati finisce la FIR
Riportare il cuore del movimento italiano alla base, alle società. Questa frase, declinata in mille modi diversi, è stata ripetuta come un mantra nelle scorse settimane di campagna elettorale. La cosa, se vogliamo, un po’ buffa è che a dirla sono stati tutti i candidati, sia quelli che vogliono una netta inversione di rotta rispetto al passato sia chi invece vuole rinnovare l’attuale sentiero senza stravolgerlo. Ma evidentemente tutti sono d’accordo sul fatto che la politica FIR in questo caso abbia bisogno di una sterzata.
A sottolinearlo è Ivan Malfatto, dalle pagine de Il Gazzettino, dove scrive che “le elezioni per la presidenza delle Federugby di sabato 15 settembre a Roma non hanno ancora un vincitore, visto l’equilibrio sulla carta fra i contendenti. Hanno però già uno sconfitto. È il lavoro svolto dalla Fir nel rapporto con i club e nello sviluppo dei settori giovanili. Ovvero una parte decisiva del movimento. A dirlo sono le dichiarazioni nei programmi elettorali, ai mass media e nelle riunioni in giro per l’Italia fatte da Alfredo Gavazzi, Amerino Zatta e Gianni Amore”.
Poi Malfatto ricorda le parole di ogni singolo candidato sul tema, partendo da Gavazzi: «Negli anni – ammette Gavazzi – per vari motivi ed esigenze il dialogo tra Fir e società si è indebolito. Questa distanza va colmata. Bisogna rafforzare tale dialogo valorizzando il ruolo dei club. La vera necessità è valorizzare la centralità delle società».
Quindi Amerino Zatta: «Il mio programma riporta finalmente al centro le società, grandi e piccole. Sono esse il perno del movimento, il primo motore. Rappresentano la centralità e la qualità del rugby italiano. La Fir è deputata al loro sostegno in modo che tutti siano partecipi dei traguardi comuni, in primis quelli della Nazionale».
Infine Gianni Amore: «L’attuale gestione Fir ha puntato troppo sul rugby di vertice, senza strutturare un programma adatto per il resto del movimento. Vanno accorciate le distanze fra vertice e base. La Nazionale è un gigante dai piedi d’argilla, non ha alle spalle un movimento solido».
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