Un ricordo emozionante e delicato di uno dei più grandi nomi del rugby italiano. E la firma è quella di Marco Pastonesi
L’eredità di Doro è una casa – casa Quaglio – che anche se chiudi la porta a chiave, è come se fosse sempre aperta, come gli spifferi del Colosseo, come gli attracchi di un porto di mare, come gli spazi di un campo da rugby. La casa è quella, la bici al pianterreno, perché la bici era il suo modo di girare per Rovigo, neanche il disturbo di tirare giù il finestrino, neanche il fastidio di parcheggiare, neanche la schiavitù del pieno, e poi quel pedalare che era un po’ come il camminare, stessa velocità, braghe corte e sandali d’estate quasi da predicatore, braghe lunghe e ombrello d’inverno quasi da contadino, e al primo piano l’aria che sa di sigarette, la cucina che pompa come la sala-macchine di una nave, la terrazza regno del gatto Due (c’era anche Uno, il fratello, che poi però è scappato), il panorama danneggiato dalle costruzioni abusive – pensa te – dei preti.
L’eredità di Doro è quei poveri cristi che ogni tanto prendono coraggio come se dovessero affrontare la mischia dei Pumas e allora si avvicinano e si presentano, ricordano un’occasione, un episodio, una storia, e non esiste circostanza in cui Doro non abbia dato o regalato, non abbia fatto o aggiunto, non abbia promesso e mantenuto, che poi era un togliere a se stesso, come se il privarsi fosse non dividere ma moltiplicare, e in questo senso c’è perfino del biblico, dell’evangelico, del rugbistico.
L’eredità di Doro è che non c’è mai un giorno senza parlare di lui, senza ricordare una sua battuta che esplodeva in una risata finché inciampava in una raffica di colpi di tosse.
L’eredità di Doro è quella volta che incontrò Lino Maffi e ovviamente parlarono e predicarono rugby, finché Doro ammise, sorpreso, che gli sembrava che stessero dicendo le stesse identiche cose, anche se Maffi in milanese e lui, che non capiva il milanese, in rovigotto. Ed è quella volta in cui il petarchino Lucio Boccaletto sparò un calcio in faccia a Doro, un compagno di Doro lo rimproverò “se lo avesse fatto a me, lo avrei ammazzato”, e Doro si difese “ma come avrei potuto farlo se ero in coma?”.
L’eredità di Doro è chi ricorda i suoi gomiti, taglienti, chi il suo naso, da Piave più che da Po o da Adige, chi i suoi baffi, mustacchi come quelli di Michel Crauste, Lourdes e Bleus, è chi appoggia i gomiti sulla tovaglia dove lui aveva fatto apporre la firma soltanto a chi riteneva ne avesse diritto e valore, per poi farla tradurre in un lavoro di cucito indelebile ed eterno, è chi allunga il vino con l’acqua, o l’acqua con il vino, pensando di allungarsi un po’ anche la vita, se non la propria vita, almeno quella del vino, o dell’acqua.
L’eredità di Doro è che se prima era lui ad andare alla tomba di Maci, accarezzare la foto in cui Maci sovrasta la mischia, salutarlo come se fossero al Bar Luce, davanti a una “zagoga”, raccontargli dell’ultima vittoria rocambolesca del Rovigo o dell’ultima sconfitta onorevole dell’Italia, adesso c’è qualcuno che ha imparato ad andare da Maci e poi anche da lui, accarezzandoli e salutandoli e raccontando come se potessero rispondere.
L’eredità di Doro è che adesso Gisella, che è la moglie, e Enrica, che è la figlia, organizzano il Torneo a sette femminile dedicato a Mirko Petternella, e tenendo accesa la memoria del vecchio giornalista, è come se lo facessero anche per Doro.
L’eredità di Doro è che la storia dell’ovalità della vita è vera, perché più passa il tempo e più capisci che chi ha giocato a rugby, chi l’ha respirato e ruminato, ha una marcia in più, anche se qualche mona, come direbbe Doro, o qualche pirla, come tradurrebbe Maffi, anche nel rugby c’è sempre.
L’eredità di Doro è quella ricchezza che hanno ricevuto, che possiedono e che dovrebbero trasmettere tutti quelli che lo hanno conosciuto, altrimenti che cos’è vissuto a fare, Doro. Ed è anche pensare “questa gli sarebbe piaciuta”, in caso di battuta, oppure “questo gli sarebbe piaciuto”, in caso di giocatore.
L’eredità di Doro è che sembra che sia sempre sul punto di arrivare, una questione di pochi minuti, si sarà fermato a parlare con qualcuno, a bere un’ombra, a guardare un allenamento.
Sogni Doro. E sogni d’oro, Doro.
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