Le mischie? Un Armageddon biblico. Parola di Giulio De Santis

Con questo articolo inizia la collaborazione con OnRugby.it anche l’arbitro di rugby italiano per antonomasia

Giulio De Santis è il nostro arbitro più prestigioso. Uno che al Mondiale 2011 ha fatto il TMO per la finalissima tra Nuova Zelanda e Francia. E scusate se è poco.
Per noi di OnRugby.it è perciò un piacere e un onore poter annunciare che da oggi inizia una collaborazione che porterà il nostro fischietto (termine riduttivo) a trattare e scrivere di tematiche inerenti al suo lavoro e al suo particolare punto di vista. Nel suo primo appuntamento De Santis mette nel suo mirino la fase più caratteristica e caotica del rugby: la mischia.

 

Passione sì… ma in senso biblico, la gestione delle mischie per gli arbitri è diventata un rebus.
Le statistiche parlano chiaro: ogni tre mischie due non si giocano, vuoi per un calcio di punizione, vuoi perché da resettare per crolli o “stappate” delle prime linee.
Nelle definizioni del regolamento lo scopo della mischia è: “… far riprendere il gioco velocemente, in modo sicuro e leale, dopo un’infrazione minore o un’interruzione”; per gli allenatori è la piattaforma migliore per lanciare l’attacco, perché sedici energumeni sono concentrati in quatto metri quadrati e c’è spazio a volontà per la cavalleria leggera; per gli arbitri è, semplicemente, l’Armageddon.
L’IRB, l’organo di governo mondiale del rugby, sta cercando da anni di porre rimedio a questa situazione, perché se in una partita ci sono una trentina di mischie e per giocarne una ci si mette circa un minuto, facile il calcolo: per almeno mezz’ora su ottanta minuti, la gente a casa, tranne qualche vecchio pilone, si annoia. L’ultima arma letale tentata è la riduzione da quattro a tre delle chiamate arbitrali: “crouch, touch – set” di olimpica memoria, “ai vostri posti, pronti – via”. Il pause è andato in pensione, era un comando a non fare, quindi pleonastico.
Situazione risolta? Macché, a poche giornate dall’inizio dei campionati internazionali, siamo da capo. Perché le mischie non stanno in piedi? E soprattutto, come si fa a individuare il responsabile?
Circa dieci anni fa, quando iniziai a collaborare con la Nazionale maggiore per la disciplina, radunai la prima linea di allora e mostrai loro video di mischie crollate chiedendogli di individuare i responsabili. Risultato? Uno sentenziò: “calcio contro la squadra A!”, l’altro: “la squadra B!”. Ed uno l’avrebbe resettata…. Che soddisfazione, non ero l’unico a non capirci niente di mischie! L’euforia durò poco perché comunque una soluzione bisognava trovarla. Uno dei tre, posso fare solo il nome per la privacy, tale Franchino (!) – ma perché a quelli grossi gli appioppano i diminutivi? -, mi disse: “fagli rifare la mischia all’infinito, quando si saranno stancati di sbattere la faccia contro il fango staranno in piedi”. Già, facile a dire, … e l’aggettivo sicuro contenuto nella definizione?!
Poi mi venne in mente di analizzare il terzo pilastro del regolamento, l’aggettivo leale. Mi domandai: ma queste introduzioni clamorosamente storte che vediamo oggi, costituiscono elemento di lealtà o all’inglese di fair contest? O semplicemente privano la squadra che non introduce il pallone della possibilità di tallonarlo? E se non gli è consentito di contendere il pallone, che cosa possono fare? Semplice: distruggere la piattaforma di attacco avversaria di cui sopra, girando la mischia o rendendola semplicemente instabile.

L’IRB c’era già arrivato. Prima dei mondiali 2003 e 2007 aveva minacciato gli arbitri che non avessero applicato la tolleranza zero sulle introduzioni di non designarli perla RWC! Poi si resero conto che sarebbero rimasti in quattro gatti e allora hanno introdotto il concetto di introduzioni “credibili”. Credibili?! Cioè il contrario di “incredibili”, è come dire: se proprio non devi pagare le tasse fallo pure, ma che la dichiarazione dei redditi sia almeno… credibile. E le mischie continuano e non stare su… Ma allora la soluzione c’è: facciamo introdurre il pallone nel mezzo. Basta applicare il regolamento e far rispettare le regole che già ci sono, non servono leggi speciali… come nella vita… basta che ognuno rispetti le regole… Incredibile, il Rugby come scuola di vita!… L’avete già sentita?!

di Giulio De Santis

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