Il “programma Accademie” sta diventando concreto. Tra dubbi, qualche critica e possibilità di sviluppo
Il presidente FIR Gavazzi non fa altro che dare concretezza a quanto aveva detto in campagna elettorale: più di una volta il patron del Calvisano aveva detto di voler allargare il sistema delle accademie creando 24 centri tra U16 e U12 e 12 Accademie provinciali juniores. Dove? Per dar vita al più presto a questo sistema sembra che ci si rivolga a quelle aree dove esistono già numeri di atleti e strutture sufficienti. Pare che il requisito minimo per quest’ultime sia l’esistenza di almeno tre campi.
Un nuovo sistema che come tutte le novità crea possibilità e critiche. Queste ultime le raccoglie Antonio Liviero su Il Gazzettino di oggi. Liviero ci fa sapere che in FIR si sta lavorando alacremente in questa direzione e il responsabile del centro studi federale Franco Ascione è stato già segnalato in Veneto dove avrebbe avviato i contatti con i club che potrebbero ospitare le nuove accademie.
I primi problemi nascono qui, segnala Liviero, perché non sarebbe chiaro quali siano i requisiti-base per aspirare a ospitare i centri e se eventualmente si possano avanzare candidature. Un problema più sentito in quell’area geografica più che altrove per l’alto tasso rugbistico. Liviero dice infatti che i rumors provenienti da Roma parlano di tre poli (Mogliano, Padova e uno tra Rovigo e Venezia), ma in Veneto sarebbero di più le società ad aspirare a quel ruolo. I club “assegnatari” ricevono infatti un contributo federale oltre a un sostegno tecnico sempre da parte FIR.
Altro punto critico, segnalato da Liviero: i giocatori, che arriverebbero dalle società geograficamente più vicine. Il rischio, dice il giornalista, è quello di svuotare interi bacini, fornendo atleti ad altri dopo averli cresciuti e formati. Il presidente del Valsugana Junior Gabriele Marchiori dice a Liviero che non si conoscono “i criteri in base ai quali verranno scelte alcune società piuttosto che altre. Strutture, storia, competenze? Un club può candidarsi?”. E poi sottolinea come a suo dire “il sistema Accademie è demotivante: chi viene escluso, perde fiducia, a volte non ha più voglia di continuare”. Questo da un lato. Dall’altro c’è chi come il presidente della Tarvisium Guido Feletti parlando della già esistente Accademia di Mogliano segnala “la scarsa simbiosi tra il territorio e il centro trevigiano”. Le società si fanno poi domande sulla effettiva preparazione dei tecnici FIR che verrebbero mandati nelle Accademie.
Un problema-cardine del movimento italiano, che ha necessità di anticipare e migliorare la crescita dei nostri giovani. C’è chi spinge per questo tipo di soluzione, chi invece sostiene che andrebbero potenziati i club per far sì che siano le società – magari permettendo la costituzione delle loro Accademie – a farli crescere da quando sono bambini o ragazzini. Sia una soluzione che l’altra hanno luci e ombre: tanto per fare un esempio, i dubbi sulla preparazione dei tecnici federali sono più che legittimi, ma non è affatto certo che quelli dei club siano necessariamente migliori. Se esiste in Italia un “problema tecnici”, ed esiste, è assolutamente orizzontale e non verticale. Riguarda tutti.
Forse – e lo ribadiamo, forse – un sistema “misto” sarebbe la cosa migliore: con le Accademie federali a presidiare le aree di frontiera, quelle a più bassa “intensità ovale”. Potrebbero diventare un centro di raccolta e propulsione del movimento, soprattutto sul medio e lungo periodo. Mentre nelle regioni di lunga tradizione si potrebbe pensare di sostenere con soldi, strutture e altro le realtà già esistenti.
Come sempre la soluzione ideale sarebbe parlarne. Alfredo Gavazzi non aveva nel suo programma l’idea di una grande assemblea del movimento, chiamateli “Stati Generali” o come vi pare. Forse non serve arrivare a tanto, anche se sarebbero l’ideale, forse basterebbero una serie di incontri per capire dubbi e proposte che arrivano dalla base e dai territori interessati. Poi – va da sé – l’attuale dirigenza federale ha il diritto e il dovere di scegliere la strada che ritiene migliore. E di perseguirla con tutta la sua forza.
Ma questo è un nodo fondamentale del nostro movimento: la scelta di un sentiero piuttosto che l’altro indirizzerà per molti anni lo sviluppo del rugby italiano.
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