Intervista esclusiva per onrugby.it dell’ex capitano All Blacks ed ex coach della Rugby Roma. Un tuffo nel passato, ma non solo
Torna Melita Martorana che dalla Nuova Zelanda ci porta una graditissima sorpresa: una intervista esclusiva a Wayne “Buck” Shelford.
Un libro che cade dalla libreria: è un libro di rugby italiano, le cui pagine si aprono sul periodo quando famosi, anzi famosissimi, All Blacks venivano a svernare carriere ormai finite nel nostro territorio. Lì è nata l’idea di scrivere di queste leggende del rugby mondiale che hanno graziato i nostri campi negli anni ’80 e ’90. Iniziamo con Wayne “Buck” Shelford, carissimo amico ed ex della “mia” Rugby Roma.
Quando arrivai in Nuova Zelanda 10 anni fa e conobbi il mio attuale compagno, parlando degli All Blacks lui mi disse: “Wayne Buck Shleford. Il più grande di tutti. E’ riuscito a rappresentare come capitano sia i Maori che i Pakeha. Il capitano che mai ha perso una partita quando era al comando”.
Parole che sono state un vero tuffo nel passato: nel 1992/93 Buck aveva già lasciato la Nuova Zelanda ed era approdato nel Northampton in Inghilterra. A fine stagione riceve una telefonata dove gli viene chiesto di andare nella capitale italiana ed allenare la Rugby Roma. Nonostante l’accordo fosse solo per allenare Buck si ritrova ancora una volta giocatore in campo nelle stagioni 93/94 e 94/95: “Per un paio di partite mi dissero. Mi ritrovai a giocare tutto il campionato con un corpo che era stanco, che non ce la faceva più dopo lunghe stagioni in Nuova Zelanda ed in Inghilterra”.
Spiega che l’ambiente romano era sicuramente molto diverso da quello a cui era abituato. Giocatori che si allenavano due volte a settimana, la sera dopo lavoro; che commettevano errori di base come passaggi sbagliati, calci non centrati o palle perse. Ma il vero problema per un ex capitano degli All Blacks era la mentalità romana: “Dentro le mura romane i giocatori erano dei leoni, fuori nelle trasferte sembrava come se non fossero interessati e perdevano in continuazione”.
La pressione delle partite in casa, di fronte alla dirigenza, ai proprietari e al pubblico trasformava i suoi compagni in veri gladiatori. Peccato non ci fosse la stessa consistenza per le altre partite. Buck ricorda del gran lavoro che aveva apportato proprio per tentare di cambiare questo modo di pensare, di far capire cioè che non è importante dove si giochi, la maglia va onorata sempre e comunque. Classica filosofia All Blacks!
Nelle sue memorie affiorano racconti di grande amicizia con Roberto Bobo Corvo, uno dei pochi a parlare inglese che divenne molto amico di Buck durante le stagioni romane. Per quanto riguarda le altre squadre italiane ricorda con piacere battaglie contro Jason Little, Massimo Giovanelli “di cui ho grandissimo rispetto come giocatore, uomo e capitano”. E poi John Kirwan, Craig Green ed altri ex.
Sono 5 anni che Buck non torna in Italia. L’ultima volta con un gruppo di neozelandesi in tour in Francia per la Coppa del Mondo del 2007. Dopo la sconfitta di Cardiff il gruppo arrivò a Roma e tutti gli ex compagni, the old boys, si riunirono alla club house per un classico terzo tempo rugbysta con birra e carne e un po’ di improvvisazione musicale. Sarà cambiato qualcosa?: “Nulla è cambiato. Il club è lo stesso, i campi sono gli stessi. I vecchi compagni sono venuti ad incontrare il mio gruppo ed è stato molto carino. Una giornata da ricordare”.
Buck è una leggenda del rugby mondiale. Mettiano nero su bianco e presentiamo qualche numero. Anni come giocatore degli All Blacks: cinque, dall’85 al ’90. Anni come capitano degli All Blacks: tre, dall’87 al ’90. Partite perse come capitano degli All Blacks: zero, nessuna. Buck è tuttora l’unico capitano dei tuttineri a non aver mai assaggiato una sconfitta. E qui è impossibile non nominare la scritta che ha seguito le partite degli All Blakcs in tutto il mondo per anni fino ai nostri giorni: Bring Back Buck. Buck perse non solo la fascia di capitano ma anche il posto in nazionale dal giorno alla notte: “Ero con la seconda Nazionale ad allenarmi a Palmerston North. Avevamo alcuni studenti universitari che vennero a trovarci e ad assistere agli allenamenti. Un gruppo di loro aveva delle lettere scritte sulle magliette che messe insieme leggevano Bring Back Buck. Fu un momento e durante un’intervista andarono in televisione e da allora la scritta l’ho vista ovunque”.
Buck è anche colui che ha ridisegnato l’haka e l’ha trasformata in ciò che possiamo oggi ammirare: “E sempre la stessa haka, la ka mate, ma una nuova versione. Ho voluto semplificare i movimenti dell’haka, renderla più facile per i giocatori pakeha (i bianchi, ndr), perché – sai – non hanno molto ritmo! Non sanno ballare. Quindi semplificarla, renderla più facile e dare una più chiara spiegazione di cosa l’haka rappresenta, cioé arricchire la squadra con il mana”. Mana è una parola Maori che rappresenta l’onore, la presenza, il destino che ti forgia, fare tutto con il cuore e la passione e soprattutto il sapere che non ci si arrende mai, che si vinca o che si perda. Offrire l’haka, presentarla al mondo prima di ogni partita, serve per far crescere mana negli All Blacks, per farli diventare grandi, forti, veloci e vincenti. Allora come oggi.
Che ne pensa della Kapa O’Pango?: “Mi piace, è l’insieme di tre haka, due vecchie e una nuova scritta e disegnata apposta per gli All Blacks. Ma sai, anche gli All Blacks Maori hanno diverse haka che presentano a seconda delle occasioni”.
Buck finisce con la Rugby Roma nel 1995 approdando in due semifinali, portando in prima squadra giovani leve dalle formazioni più giovani che meritavano di giocare più che non i conosciuti giocatori senior: “Capisco che alla fine è sempre politica, ma se fai l’allenatore la politica non c’entra nulla. Non faccio l’allenatore per selezionare i miei amici, ma per selezionare i giocatori in forma che mi danno una prestazione il fine settimana. Alcuni non la presero bene al tempo”.
Dopo Roma Buck riapproda nella province di appartenenza, il North Harbour, e diventa assistente allenatore di Allan Pollac per la prima squadra nella stagione NPC 1995. Nel 1996 e 1997 diventa allenatore della Horth Harbour Emergenti e dal 1998 per quattro anni è alla guida del North Harbour NPC. Nel 2003/04 allena i Saracens in Inghilterra, dal 2003 al 2006 diventa consulente allenatore e firma contratti in Giappone con Ritsumeikan University. Nel 2007 solo una battaglia con il cancro lo poteva mettere in panchina, ma superata la malattia, Buck ritorna alle origini e per 5 anni si occupa di sviluppare giocatori e di allenare la prima squadra al North Shore Rugby Football Club, dal 2008 al 2012. Durante questi anni il North Shore vince 3 campionati con la seconda squadra ed uno con la prima squadra nella Provincia del North Harbour.
Al momento non allena ma non significa che non sia impegnato. Studia per una laurea in Sport Business Management con la sottoscritta. E’ stato Presidente del North Harbour Rugby Union nel 2010 e 2011, lavora per l’ente neozelandese Maori Tv ed è consulente dell’Accademia Internazionale di Murray Mexter in Palmerston North. In più dà la faccia alla NZ Rugby Foundation che si occupa di dare supporto a giocatori di rugby gravemente feriti durante le partite, si impegna nella prevenzione e cura per malattie maschili ed è uno dei presentatori nelle varie ospitate VIP allo stadio quando giocano gli All Blacks.
Già, gli All Blacks che giocheranno il 17 Novembre contro l’Italia allo Stadio Olimpico. Gli chiedo un pronostico: “L’Italia verrà asfaltata. Li ho visti giocare sotto Mallet, buona difesa ma giocano un rugby negativo senza attacco. Diciamo che gli danno 20 e più punti”.
di Melita Martorana
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