La federazione voleva “centralizzare” quelli dei giocatori di interesse nazionale, ma le quattro regioni hanno detto di no
Volendo ragionare un po’ alla grossa e parlare per slogan dovremmo dire che le franchigie gallesi dicono no al centralismo federale e chiedono di operare in maniera libera e indipendente. Una ricostruzione che può stare in piedi, ma che è un po’ troppo tagliata con l’accetta.
I fatti sono che ad agosto la federazione di Cardiff ha fatto pervenire a Ospreys, Scarlets, Dragons e Blues una proposta per gestire direttamente i contratti dei giocatori di interesse nazionale. Come fa – ad esempio – la Nuova Zelanda. Una idea che in qualche modo non sarebbe dispiaciuta dalle nostre parti nemmeno all’ex presidente Dondi, che nell’ultimo anno aveva introdotto qualcosa di simile limitatamente ai giocatori che escono dalle Accademie.
Le premesse sono note: le difficoltà economiche di federazione e province (anche se la WRU ha annunciato poche settimane fa un bilancio addirittura da record che ha sorpreso molti osservatori), l’introduzione del salary cap, la fuga all’estero di molti suoi giocatori importanti, sopratutto verso la Francia. In quest’ottica la richiesta della federazione va letta come un tentativo di calmierare gli ingaggi.
Le quattro franchigie però hanno detto no e il CEO Roger Lewis fa buon viso a cattivo gioco: “Ne prendiamo atto, rispettiamo la decisione delle società”. Ad inguaiare – paradossalmente – la WRU è proprio il suo bilancio da record: le squadre si aspettavano un aumento del contributo federale per i giocatori di interesse nazionale e non un minor controllo sullo stesso (6 milioni e rotti di sterline). I colloqui tra le parti continueranno nella ricerca di un compromesso che soddisfi le parti.
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