Il racconto della partita a cura dell’Iron Team
Nuvole scure coprono Palermo, che ti fanno sperare di poter avere il sollievo della pioggia durante la giornata. Nuvole di scirocco a far piombare nel sonno appiccicoso di chi non vuole ancora alzarsi dal letto tutta la città. Noi a montare i pali, sistemare il campo: -“Robé, Peppì!” – con cadenza regolare a ribadire il grande vuoto del Velodromo morente, un campo che sembra quasi voler esistere al di là di ogni speranza, un malato terminale dal glorioso passato. Questa è la casa del rugby a Palermo, la nostra casa. Arriva il tempo per vestirsi. Lentamente nello spogliatoio piomba il silenzio della concentrazione e delle domande: pur avendo un organico di tutto rispetto, oggi qualcosa ci fa dire di essere in emergenza. Forse lo stato d’animo, forse la surreale attesa di ben tre settimane per giocare la seconda partita di un campionato che ancora non è iniziato davvero, almeno non per noi. Noi il nostro campionato l’abbiamo prima in testa: scrollarsi paure e dubbi, rabbia e pensieri non è facile.
– “Cos’è una squadra?” – chiede El Primero, capitano di giornata – “Una squadra è come una famiglia. Una squadra è l’Iron” –. El Compañero lo sa con la sua emozione. Tutti noi lo sappiamo e scendiamo carichi dallo spogliatoio. Poi l’attesa sfiancante di un lungo riscaldamento in attesa di cominciare.
Ancora qualche parola, poi si entra in campo. Gli avversari sono di quelli duri, con obiettivi diversi dai nostri, con un rodaggio alle spalle molto diverso dal nostro e, nonostante la mole di gioco e il possesso ci arridano per una prima parte, grazie anche al ritmo (talvolta troppo) forsennato di Hablapoco, ci manca la marcatura, che regaliamo invece agli avversari, bravi nel vedere le nostre disattenzioni difensive e sfruttarle a loro piacimento. Tutta la partita sarà così, con alterne fortune nei punti d’incontro e una touche che, per vari motivi, non decolla, se non poche volte. Ancora meno incisiva la trequarti, che non trova gambe e spazi, anche a causa dei pochi palloni giocati e della poca qualità che questi ultimi riescono a prendere. È un primo tempo di lotta e sacrificio, dove a tratti le due squadre hanno supremazia territoriale, ma solo il CUS Catania concretizza, portandosi sul 3-14 prima del doppio fischio di pausa.
C’è voglia di fare, ma le menti, obnubilate forse dai troppi punti interrogativi, non trovano il bandolo della matassa. Sale a tratti in cattedra Rafael “El Hermoso” Esposito, poi punito per un giusto cartellino giallo per un placcaggio alto, che in attacco e in difesa cerca di guidare la trequarti alla ribalta, poi i soliti Polemico, Sietenegros e Rojo, ma la partita ha preso una pessima piega e adesso, al momento della riscossa, sembriamo invece subire l’iniziativa dei rosso-blu, che dimostrano solidità mentale prima ancora che fisica non comuni, e i loro cambi di ritmo. Il secondo tempo ha alterne fortune, costellato, da troppe uscite per infortuni. Perdiamo – forse per un bel po’ di tempo – il nostro grintoso mediano Hablapoco e di lì a poco anche Ricardo “Entonces-te-despertaste” Zapatero e Rosario “Vaquerito” Lo Vacco. La squadra prende un’altra fisionomia, ma sembra non uscire dal suo torpore, soprattutto quando Piernacorta e El Gigante hanno troppo faticato per aiutare le terze poco rodate del primo tempo. Non bastano alcune fiammate del Niño Lo Secco, né la solidità di Maverik “El Carny” Ficarotta. La partita
scivola via sul 19-3, senza che nessuno possa davvero opporsi.
Poche luci e tante ombre, cose su cui indubbiamente riflettere, ma nulla che dovrebbe fare davvero scoraggiare le formiche che, l’anno scorso stesso, contro una squadra così solida e ben organizzata, avrebbero facilmente perso con un passivo molto più ampio. Sotto il formicaio qualcosa ancora cova ed è il cuore inesauribile di questa squadra. Ora, però, è il momento di uscire dalla terra e svegliarsi. L’inverno si avvicina, formiche argentine.
P.s.: una nota di merito va inoltre a due persone. La prima è senza ombra di dubbio l’arbitro della partita, il sig. Marcello Marchese, che ha fatto vedere come autorità e autorevolezza non siano la stessa cosa, con indubbio scarto a favore della seconda, cosa che ha mantenuto la partita su dei binari sempre corretti e di grande sportività. La seconda nota va al primo cap della Pulga, Ignazio Pecorella. Pochi minuti, sperando di poterli moltiplicare e metterli a frutto quanto prima. Ad maiora
ad entrambi!
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