Intervista all’apertura neozelandese del Tolosa rilasciata in esclusiva a OnRugby.it
E’ uno dei giocatori più forti in circolazione in Europa, ma il suo passaporto dice che è neozelandese. Un’apertura che ha avuto la “sfortuna” di incrociare la sua carriera con un certo Dan Carter… Lui gli All Blacks ha provato a conquistarseli a più riprese, mettendo assieme una trentina di caps, ma nel 2011 ha capito che quella strada era chiusa e quindi il volo verso Tolosa, scelta che non rimpiange affatto: “E’ bellissima, si sta divinamente, i tifosi sono appassionati ma ti lasciano vivere tranquillamente. La società poi è fantastica. L’ideale per un giocatore di rugby”.
Luke McAlister ci dice queste cose mentre siamo seduti in una piccola trattoria non lontana dallo Stadio Olimpico, dove il trequarti mangia con gusto alcune delle più tipiche pietanze della capitale. Luke è stato a Roma in concomitanza con il test-match tra Italia e All Blacks per una serie di eventi legati a Franklin & Marshall, il noto marchio di abbigliamento casual di cui è testimonial.
E l’intervista parte proprio dagli Al Blacks…
Secondo molti quelli di oggi sono gli All Blacks più forti di sempre. Sei d’accordo?
“Sono dei grandi giocatori guidati da un grande tecnico. Vincere, o non perdere, per così tante partite di seguito è difficilissimo. E’ un risultato che arriva da lontano, un percorso iniziato 4 o 5 anni fa, e oggi c’è un mix praticamente perfetto di vecchi e nuovi giocatori. E poi c’è tantissimo lavoro, tantissima preparazione e un allenamento continuo. Non so se sono i più forti di sempre, di certo sono fortissimi”.
Per te il capitolo All Blacks è definitivamente chiuso?
“Sì. La mia scelta di andare a giocare lontano dalla Nuova Zelanda ha dato una sterzata senza ritorno alla mia carriera. Sarò sempre un tifoso degli All Blacks e ho avuto l’onore di indossare quella maglia diverse volte. Sono già felice così. Ho cercato di dare il massimo in ogni gara e sono stato felice ogni volta di avere quella possibilità ma ormai per me è un capitolo chiuso. E a Tolosa sto benissimo”.
E’ “colpa” di Dan Carter? Se avesse qualche anno in più…
“No, Dan è fantastico, ma dopo di lui ci sono giocatori bravissimi che quella maglia se la meritano più di me, a partire da Aaron Cruden che, non dimentichiamolo, è giovanissimo. No, non è per colpa di Dan”.
Cosa pensi del rugby italiano?
“Dire che è migliorato è una banalità, però è vero. Fino a pochi anni fa tutti pensavano che venire a giocare e vincere in Italia fosse piuttosto facile. Un mese fa con il Tolosa abbiamo giocato a Treviso e alla fine del primo tempo abbiamo seriamente pensato che quella partita l’avremmo potuta perdere. Siamo riusciti a raddrizzarla, ma è stato molto faticoso. Su quel campo ha perso anche il Leinster, e altre ancora…
La nazionale italiana è forte e aggressiva nei contatti e in mischia, ha delle “natural skills” per questo tipo di gioco. Anche se magari la stampa del mondo non vi tiene in grande considerazione di certo i giocatori stranieri lo fanno, sappiamo che siete migliorati e che potete mettere in difficoltà chiunque”.
Però alla fine il discorso finisce sempre lì: mischia forte ma problemi con i trequarti…
“Ci vuole tempo, allenamento, pratica e un po’ di fortuna. Bisogna iniziare ad insegnare certe cose già ai ragazzini e forse voi arrivate dopo in queste cose. Servono soprattutto bravi allenatori. E’ per questo che Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda sono più avanti di voi”.
Abbiamo problemi anche con il calciatore, cosa se vogliamo molto strana in un paese come l’Italia dove tutti giocano a calcio… Tu quando vivevi in Inghilterra hai fatto addirittura un provino per il Manchester United: giocare a pallone ti è servito per migliorare le tue abilità di calciatore?
“Sì, senza dubbio. Ma questa cosa del provino secondo me è stata un po’ ingigantita dai media. Ero giovane, un ragazzino, ed ero solo uno dei tanti. Però mi è servito tantissimo. Mia mamma era anche più contenta che io giocassi a calcio e non a rugby….”
Parliamo di Tolosa e el Top14: siete forse partiti meno bene rispetto a quanto ci si aspettasse, anche se siete comunque lì, tra le primissime.
“Sì, è vero, abbiamo avuto qualche stop di troppo, ma il Top 14 è un campionato difficilissimo, la tensione nervosa ti stronca. Il problema non è andare forte e vincere, ma mantenere standard elevati per tanti mesi, mantenere un cammino omogeneo il più elevato possibile, ma è davvero dura. Biarritz, ad esempio è partita fortissima ma ora è in un periodo molto difficile. Noi siamo partiti un po’ più lenti ma siamo più continui, stiamo andando bene anche in Heineken Cup dove abbiamo qualcosa da farci perdonare dai nostri tifosi dopo i quarti di finale di qualche mese fa con l’Edimburgo…”
Chi vedi come favoriti al titolo?
“Tolone, Tolone e ancora Tolone. Quest’anno sono fortissimi anche nella testa. C’è Clermont che può fare benissimo, come Montopellier e Castres. E mi piace il Grenoble, sta facendo davvero un grande campionato”
Come è stato vincere il Top 14?
“Fantastico, incredibile, una gioia pazzesca in uno stadio meraviglioso e stracolmo di gente. Semplicemente incredibile. I tifosi in Francia sono caldissimi e appassionati, molto più di quelli neozelandesi, che sono più un po’ freddi”
Com’è avere William Servat da allenatore?
“E’ cattivissimo (ride, ndr…). No, scherzo: è bravissimo ma anche molto duro. Era un grandissimo giocatore, anzi è, visto che all’occorrenza gioca ancora, non avevo dubbi che potesse diventare un grande allenatore. Ha tutte le qualità adatte, lo si vedeva anche quando stava in campo, il suo è stato un passaggio del tutto naturale. All’inizio è stato strano, anche per lui: in mensa c’è il tavolo dei giocatori e quello dello staff tecnico, e lui non sapeva dove andare, dove sedersi…
La verità è che è un esempio per tutti noi. Anche per chi come me pensa che un giorno o l’altro potrebbe iniziare ad allenare. Da uno come lui ho solo da imparare sotto ogni aspetto”.
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