Intervista a due allenatori del Grande Brianza e Monza che hanno iniziato un progetto con la casa circondariale di Monza
Avete mai provato ad entrare in un carcere senza avere commesso dei reati? E’ complicato, e soprattutto bisogna avere un motivo veramente valido perché vi sia consentito l’accesso. Alex Geddo e Francesco “Rasta” Motta il 7 novembre ne avevano uno ottimo: il primo allenamento di rugby per i nostri vicini della casa circondariale di Monza.
Troppo contigui per lasciarci indifferenti, la mattina del 7 novembre ha preso finalmente vita un’idea nata dall’esempio di altre carceri italiane e da una promessa fatta ai detenuti in occasione di una visita degli Aironi durante le partite di Heineken Cup.
Alex e Rasta, fisico perfetto per interpretare il ruolo dei rugbisti che ti aspetti, motivati a fare qualcosa di bello e buono, simpatici quanto basta per non sembrare poco professionali, hanno convinto subito il personale del carcere che si potesse fare.
Ho rivolto loro alcune domande per farci comprendere il valore di questo progetto. Spero che la carta non abbia annullato le emozioni che trasparivano dalle loro parole e dai loro racconti.
Come è stato entrare in carcere?
Francesco: Strano, veramente strano.
Alex: Surreale.
Francesco: Non sapevo esattamente cosa aspettarmi e mi sono lasciato stupire da tutto, anche dalle cose molto semplici, dal fatto che tutte le porte siano blindate, anche quelle degli uffici, da come si comportano le persone tra di loro, dal fatto che i detenuti avessero con noi un’educazione, come dire, quasi eccessiva.
Alex: Ad esempio, cade il pallone, corrono a raccogliertelo.
Francesco: esatto, casca il pallone o lo tiri per far vedere una cosa e loro vanno subito a prenderlo per te.
Ma perchè, c’è un clima di terrore?
Francesco: No, non credo, è che forse loro percepiscono la nostra presenza come qualcosa di diverso. Un detenuto mi ha detto che un allenamento con noi è un lusso perché gli permette di correre, muoversi, fare qualcosa di diverso dall’ora d’aria.
Alex: Un ragazzo ci ha detto che un allenamento di rugby lo fa sentire quasi libero.
Francesco: Esatto, ricordo le parole: queste due ore per me sono come un giorno di libertà.
Alex: Capisci che questo ti carica di una responsabilità che sinceramente non mi aspettavo di dover assumere. O meglio, quando uno ti dice, perché non venite due volte la settimana, così sarebbe quasi come essere liberi, ti rendi conto che non sei più un allenatore, capisci che la tua presenza lì si carica di un significato che va ben oltre il gioco.
Francesco: Tutto in carcere ha un peso diverso, rispetto a fuori. Per esempio, se io manco ad un allenamento, so che loro perderanno l’ora d’aria, per cui anche se io avviso che non andrò, la mia assenza avrà conseguenze pesanti per i detenuti, uscire dalla cella anche solo per un’ora per loro è fondamentale. E’ per questo che tutto sembra strano, niente di quello che fai quando sei dentro è leggero.
Alex: E poi in carcere sei sempre tra due porte chiuse. Appena varchi una soglia, ti si chiude subito alle spalle e davanti a te trovi un’altra porta sbarrata …
Perchè avete deciso di aderire a questo progetto?
Francesco: ho sentito Alex e Paolo (Grigio) che ne parlavano e mi interessava. Mi ha incuriosito, ero curioso di entrare in carcere. E poi i detenuti non fanno nient’altro se nessuno ci va, le loro attività sono molto limitare, hanno poche occasioni per uscire dalla cella.
Alex: Io l’ho appoggiato per la vicinanza, che è veramente imbarazzante, quando noi siamo in campo, loro sono lì attaccati …
Francesco: … esatto, per me il carcere è sempre stato le urla per l’acqua d’estate e le proteste per il freddo d’inverno. Ero davvero curioso di attraversare la strada e capire cosa succedesse dall’altra parte.
Alex: E poi per un concetto prettamente rugbistico di sostegno. Nel senso di dare sostegno a dei ragazzi che hanno sbagliato, loro sono così vicini a noi che non possiamo fingere che non ci siano.
Come sono stati i primi dieci minuti?
Alex: I primi dieci minuti io ero un po’ teso.
Francesco: C’era un minimo di tensione perché non sapevo bene cosa mi aspettasse, poi invece per me è stato tutto naturale. Sono stato nervoso finché non siamo arrivati in campo, nessuno ci guardava male ed anche il rapporto è stato molto naturale. E’ stato più strano il percorso dal cancello d’ingresso al campo: controlli, cancelli, molte guardie.
Alex: A me ha fatto impressione l’uscita. Ci hanno accompagnato a conoscere il direttore e mentre aspettavamo fuori dal suo ufficio ci hanno detto di allontanarci dal corridoio perché c’era un colloquio per un problema disciplinare …
Francesco: Sì, è vero, eravamo in corridoio in attesa di entrare nell’ufficio del direttore e ad un certo punto è arrivata una guardia e ci ha fatto spostare… ma non abbiamo visto nulla.
Alex: Io ero teso perché un conto è rapportarsi con ragazzi che vogliono fare sport per il piacere di fare attività sportiva, lì invece non sapevo cosa si aspettassero da me, dovevo adeguare il mio linguaggio al loro con la paura di usare i termini sbagliati, dovevo capire cosa volessero da me e da quell’ora e mezzo di allenamento. Ad esempio, il linguaggio: Francesco ha fatto gli auguri a un detenuto che compiva quarant’anni e e gli ha risposto che non si fanno gli auguri in carcere.
Francesco: Esatto, in carcere non si fanno mai gli auguri…
Alex: Ta, ta, ta … panico … ma non è successo nulla … il perché sarà la domanda per la prossima settimana.
Francesco: Queste piccole cose fanno strano tutto il mondo del carcere. In carcere anche la cosa più insignificante ha una connotazione diversa.
Alex: A parte il fatto che all’uomo che compiva gli anni avrei dato serenamente cinquant’anni, invece ha la mia età …
Francesco: Sì, è vero, sembrava molto più vecchio… e poi a me mette a disagio il fatto che da una zona del carcere il campo sia visibile e ogni tanto senti qualcuno che parla, che chiama chi è in campo per salutarlo. Attilio dice che è una cosa buona così magari anche altri sono invogliati a partecipare.
Alex: Sì, Attilio, l’ ha chiamata “radio carcere”. Ma la sensazione di disagio è forte, perché vedi i vestiti stesi, sai che c’è vita là dentro, e sai di essere visto, ma non vedi i loro occhi. E’ come essere spiati.
Vorreste sapere quali sono i reati commessi dai detenuti che vengono agli allenamenti?
Francesco: Me lo ha chiesto Alex, non hai la curiosità di sapere perché sono dentro? La risposta è sì, ma non voglio saperlo.
Alex: Condizionerebbe il mio modo di rapportarmi, se sapessi che hanno fatto qualcosa che va totalmente contro i miei principi non riuscirei ad essere neutro.
Francesco: Se sapessi che qualcuno di loro ha commesso un reato che io non posso tollerare, non so fino a che punto riuscirei a rapportarmi come faccio adesso. Adesso parlo, scherzo, il rapporto è il più normale del mondo, gli do una pacca sulla spalla quando fanno bene qualcosa, massima naturalezza come con persone che incontrerei fuori dal carcere.
Alex: La cosa che mi ha colpito il primo giorno e che mi sono detto è stato: ma sono persone normali, non hanno qualcosa di diverso, non si riesce a connotarli fisicamente come cattivi, eppure se ho capito bene uno di loro resterà in carcere quindici anni…
Francesco: So che è stupido, ma ho incontrato persone che se le trovassi al bar non penserei mai che siano dei criminali, nel nostro immaginario pensiamo al cattivo con tratti tipici. E poi anche della galera abbiamo un po’ l’idea che ci viene dai telefilm americani, ti aspetti le tute arancioni, la catena ai piedi… invece non è niente di tutto questo.
Cosa credete che abbiano pensato di voi i detenuti?
Alex: Tutto il bene del mondo, che siamo due fighi, grossi, bravi, simpatici !!!
Francesco: In realtà, io credo di vedere della riconoscenza.
Alex: Credo che apprezzino quello che facciamo.
Francesco: Alla fine dell’allenamento uno ci ha detto: nessuno vi obbliga, lo fate perché vi piace. Hanno percepito che siamo qualcosa di diverso dalle altre figure che ruotano intorno a loro e che sono retribuite per quello che fanno. Ci viene riconosciuto il fatto che noi ci mettiamo del nostro, per fare una cosa che abbiamo deciso liberamente di fare. Nessuno ci ringrazia, però quando arriviamo ci salutano con calore. Tolti due che vogliono fare sport, gli altri vengono a giocare per farsi l’ora d’aria in uno spazio più grande. Lo spazio per l’ora d’aria è piccola, come questa stanza (la nostra sala riunioni). Venire a fare rugby per loro è poter approfittare di uno spazio più grande dove si posa correre.
Francesco: … e poi si sente forte la tensione tra guardie e detenuti. Ad un certo punto gli ho fatto vedere come calciare e mi hanno chiesto se fossi riuscito a prendere la guardia che stava sul camminamento così come quando ho detto loro che avremmo fatto qualche allenamento simile al judo, uno mi ha chiesto se si fosse potuto allenare con l’appuntato….
Alex: In alcuni momenti le guardie mi sono sembrate peggio dei detenuti.
Francesco: Ho avuto l’impressione che le guardie non facciano niente per far calare la tensione, anzi, se hai un battibecco con una guardia, il giorno dopo si “dimenticano” di farti uscire per le tue attività. Oggi ad una certa ora le guardie ci hanno fatto capire che era l’ora di finire. Avevano fretta di riportare i detenuti in cella.
Qualcuno conosceva già il rugby?
Alex: Nessuno conosceva il rugby, anche il detenuto che ha giocato due mesi a Velate in realtà non sa giocare. Però hanno visto la partita dell’Italia sabato, e vedranno anche quella di sabato prossimo.
Francesco: C’era un ragazzo che aveva giocato nella nazionale giovanile del suo paese, e che voleva venire, magari la prossima settimana …
Pensate di poter dare qualcosa d’altro oltre che insegnare uno sport?
Alex: Per adesso no, in futuro il rispetto delle regole, spero…
Francesco: Non mi sbilancio, per ora è un’attività fatta per evadere, la parola giusta per il carcere… Oggi il ragazzo un po’ ciccione…
Alex: Diversamente magro…
Francesco: … diversamente magro… ci spiegava che la dimensione dell’area grande d’aria è due volte questa stanza (sempre la sala riunioni) e sono dentro in trentacinque per volta. Una specie di buco dove riesci a malapena a camminare e prendere una boccata d’aria. Per quanto mi riguarda anche se io fossi lì solo per far vivere meglio una giornata a me basterebbe, sarebbe comunque un bel risultato. Se poi venisse anche un maggiore rispetto delle regole, meglio ancora, però regalare un surrogato di libertà per un paio d’ore la settimana ha un valore che io non potevo capire fino a ieri.
Note: Attilio, è un accompagnatore dell’Under 12, nonché psicologo del carcere per le tossicodipendenze. E’ soprattutto grazie a lui che tutto questo si è realizzato.
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