Intervista con la general manager azzurra Maria Cristina Tonna. I problemi e le prospettive di un movimento in crescita
Qualche mese fa è stato pubblicato il primo ranking mondiale del rugby femminile e le nostre ragazze del rugby sono settime risultato mai raggiunto da nessuna nostra nazionale. Ma veniamo subito fermati: “Siamo messe bene, ma prenderei questa cosa un po’ per le pinze perché ancora non esiste un ranking ufficiale anche se l’IRB sta lavorando per mettere in piedi un sistema affidabile. Al momento ci sono squadre che competono, altre no, partite che hanno valore ai fini delle classifiche e altre che non ne hanno. A livello teorico però non siamo messe male, anzi, anche perché siamo tra le squadre che gioca di più, con 10/12 partite all’anno. Tanto per dire: squadre come Sudafrica, Nuova Zelanda, Stati Uniti si lamentano perché per problemi logistici non riescono a giocare un numero soddisfacente di gare. In tanti vogliono giocare con noi perché ormai i nostri standard sono molto buoni, rappresentiamo degli avversari più che validi anche se non sempre riusciamo a fare risultato”.
A parlare così è Maria Cristina Tonna, responsabile del rugby femminile azzurro, che prende subito a snocciolarci i numeri del movimento femminile nostrano: “I numeri che abbiamo non sono forse recentissimi ma risalgono comunque a una manciata di mesi fa. Abbiamo 12 squadre che fanno il Campionato Nazionale, 56 squadre in partenza ma entro la fine della stagione dovremmo arrivare a toccare quota 60, 26 U16 e per la prima volta 20 squadre in partenza U14. Ci si sta muovendo insomma”.
Se ne stanno accorgendo anche i media…
“Coordino il settore da vario tempo e ho assistito a una vera escalation fino al punto in cui è ora, anche se dobbiamo e vogliamo progredire, non ci accontentiamo di certo. Abbiamo un movimento in salute, guardato con interesse a livello internazionale: Galles e Scozia fanno fatica a starci dietro a livello di numeri con la seniores perché si ostinano a giocare solo a rugby a 15 mentre noi con “l’invenzione” della Coppa Italia abbiamo dato una bella scossa al nostro sistema. Perché è vero che forse oggi quel tipo di rugby non ci serve per nessuna competizione internazionale, ma stiamo facendo cultura e al momento abbiamo più tesserate seniores di Scozia e Galles”.
La geografia del rugby femminile è simile a quella maschile? I nostri punti di forza e quelli deboli sono gli stessi?
“E’ praticamente identica a quella maschile, il Veneto è il capofila ma la Lombardia sta lavorando davvero molto bene anche se al momento esprime solo una squadra di campionato, ma quelle di Coppa Italia sono 12 e ci sono tantissime giovanili. Il Lazio ha subito un calo negli ultimi anni ma stiamo lavorando per farlo ripartire”.
E i problemi, quali sono?
“Soldi ovviamente, tutti ne hanno bisogno e il momento è quello che è. Anche le distanze non aiutano: l’Italia ha una geografia particolare, molto allungata, se avesse una morfologia diversa ci aiuterebbe molto. Poi le strutture o il fatto che tante squadre maschili non abbiano ancora capito l’importanza in termini di sviluppo di avere anche una branca femminile”.
Immaginiamo esistano anche difficoltà più culturali.
“Non posso non immaginare tutti i discorsi legati alla nostra educazione, avendo il nostro paese un impronta fortemente cattolica dove tutta la parte legata al contatto è sostanzialmente tabù, se poi ad essere protagoniste sono le donne… Da noi anche nello sport la forza è per il maschio mentre alle donne sono riservate altre caratteristiche, ma questo fin da bambini. Dobbiamo lavorare da questo punto di vista e per questo abbiamo messo in piedi un progetto per far giocare le bambine piccole e piccolissime. Le abbiamo fatte giocare anche all’Olimpico in occasiona di Italia-All Blacks anche per dare un approccio visivo a questa cosa, far rendere conto che davvero il rugby è un gioco per tutti, senza alcuna distinzione. Vogliamo bucare anche da un punto prettamente visivo”.
Proprio questo fine settimana parte la prima tappa delle Sevens World Series completamente dedicata al rugby femminile. Il Seven è forse lo strumento di maggior penetrazione del rugby in aree poco evolute rugbisticamente in questo momento. E noi siamo in ritardo
“E’ evidente che il rugby a 7 sia più fruibile dal punto di vista della logistica e che l’organizzazione di una squadra a 15 è decisamente più mastodontica, ma non dimentichiamoci che in tutto il mondo è rugby a 15 quello più visto. Il rugby “è” quella cosa lì. Noi vogliamo coniugare l’entusiasmo del Seven mantenendo la tradizione dello Union. E non va dimenticata una cosa: il rugby a 7 è più difficile da giocare e ci vogliono degli atleti preparati in maniera specifica per quegli spazi, quei passaggi così lunghi. Non tutti possono giocare al Seven: pensiamo ai piloni..
Entrare nel giro delle World Series è comunque importantissimo ma difficile: la Spagna ha smantellato la sua squadra a 15 per puntare fortissimo su quello a sette ma è rimasta fuori dal giro che conta. E se rimane fuori la Spagna non possiamo pensare di poter entrare noi, almeno in tempi brevi: hanno spostato giocatori e tecnici ma non sono riusciti ad entrare in pianta stabile nelle World Series. Non è semplice, è una sterzata anche culturale non da poco e al momento non è semplice creare una squadra a 7 davvero slegata da una 15, ma quello è il nostro obiettivo”.
Sei Nazioni 2013, cosa possiamo aspettarci?
“Sarà un anno strano, può succedere di tutto visto che ci sono in ballo le qualificazioni mondiali. Vediamo: noi se vogliamo qualificarci automaticamente al Mondiale dobbiamo vincere almeno tre partite. Ci proveremo”.
L’ultima battuta che ci regala Maria Cristina Tonna è ancora sul Seven, con quel “Progetto Minerva” in piedi da un po’ e che sta cercano di sviluppare il rugby a 7 a livello regionale (servirebbe anche per gli uomini?). perché quel nome?
“Chi viene a contatto con la realtà del rugby femminile rimane strabiliato dall’entusiasmo, dalla capacità di apprendimento. Minerva è la dea della passione e della guerra, si associava perfettamente a una giocatrice di rugby”.
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