Zebre e Parma, un matrimonio a freddo che non riesce a sbocciare

Le presenze ufficiali sugli spalti del XXV Aprile danno una media-partita di 1.900 tifosi. Con gli Aironi erano quasi il doppio

ph. Luca Sighinolfi

Per una volta parliamo di Zebre tralasciando l’aspetto puramente tecnico/sportivo e spostando l’attenzione su quello che era il secondo obiettivo della franchigia federale, e cioè quello di conquistare Parma in primis e diventare un polo di attrazione per i tifosi di tutto il nord-ovest. Soprattutto nelle interviste e nelle dichiarazioni estive i dirigenti bianconeri – o meglio, il direttore sportivo Roberto Manghi e il direttore tecnico Christian Gajan, che una dirigenza vera e propria è stata disegnata solo la settimana scorsa – le parole più ripetute erano “faremo innamorare i parmigiani delle Zebre”. Le cose però non stanno andando proprio benissimo in questo senso, e c’è poco da rallegrarsene. La città di Parma sta rispondendo abbastanza poco e comunque al di sotto delle possibilità che quel bacino può offrire.

 

Un po’ di numeri: le due partite di Heineken Cup finora disputate al XXV aprile hanno finora richiamato 3.600 tifosi se si tiene presente dei dati forniti dall’ufficio stampa della società, 200 unità in meno secondo i dati ERC. Le quattro gare interne di Pro12 hanno messo assieme 7.750 appassionati (25 in più secondo i dati del sito ufficiale del torneo). Il totale dice perciò circa 11.350 tifosi con una media-partita di 1.891 persone sugli spalti.
Se però confrontiamo questi numeri con le prime sei partite interne della prima stagione degli Aironi (2010-2011), sempre quattro nel torneo celtico e due in Heieneken Cup, la differenza salta agli occhi: 13.400 presenze per l’allora Celtic league, 7.000 per le due gare nella massima competizione continentale per club per un totale di 20.400 tifosi e una media-partita di 3.400 persone. Praticamente il doppio. Eppure sia gli Aironi che le Zebre sono nate in fretta e furia e se guardiamo il livello delle squadre affrontate, con la conseguente capacità di attirare pubblico, la bilancia pende un po’ più a favore dell’attuale franchigia (Ulster, Ospreys, Harlequins rispetto a Scarlets, Biarritz e lo stesso Ulster con cui se la sono vista gli Aironi. E quell’Ulster non era la stessa squadra che ammiriamo oggi).

 

E qui nascono le domande per cercare di capire il perché di questa situazione. Parma ha degli innegabili vantaggi rispetto a Viadana: logisticamente è più accessibile, è più grande (187mila abitanti circa contro i 17mila della non lontana cittadina in provincia di Mantova), c’è una presenza di sponsor molto più alta. Parma però ha una grande controindicazione: è una sorta di microcosmo del campanilismo italiano, con tante anime quanto le squadre presenti e chi ne segue una non andrà mai o quasi a vedere le altre. Cosa che ovviamente non aiuta.
Questo è il panorama in cui è stata messa in scena la travagliata nascita delle Zebre, che con tutte le polemiche che si è trascinata dietro ha probabilmente giocato un ruolo frenante nelle prime settimane ma non tenderemmo ad ingigantirlo: il tifoso degli Aironi arrabbiato magari lo perdi, ma non è un numero così elevato da giustificare la differenza delle cifre sopra citate. E poi con il tempo lo riconquisti, pochissimi irriducibili a parte. No, la diatriba Aironi/Zebre è la risposta più semplice da dare a un problema probabilmente più complesso e che affonda nella socio-geografia. E forse alla fine aveva ragione chi sosteneva che Parma non era la sede più adatta.
Vincere di sicuro aiuterebbe e spingerebbe quei numeri verso l’alto, ma la cosa non sembra purtroppo essere imminente e la squadra sembra aver imboccato una piccola regressione rispetto a quanto i bianconeri facevano vedere un mese fa. Magari è solo temporanea, ce lo auguriamo tutti, ma la paura è che in realtà i margini di crescita a Parma in termini di pubblico possano paradossalmente essere più limitati di quelli che c’erano a Viadana. Speriamo di venire presto smentiti.

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