Bobby Deans, così loser da non essere nemmeno il più perdente

Una meta non assegnata nel lontanissimo 1905 ed entrata nella leggenda. Palla a Marco Pastonesi

Trovatemi uno più perdente di Bobby Deans. Trovatemi uno più sfortunato, più infelice, più disgraziato di Bobby Deans. Trovatemi un altro che sul letto di morte, invece che raccomandare l’anima a Dio o a William Webb Ellis, che per alcuni è la stessa persona, e per altri no nel senso che è meglio Ellis, invece che fumarsi l’ultima sigaretta o bersi l’ultimo bicchiere o guardarsi l’ultimo test-match, giura che quella meta era buona, che l’aveva segnata, e che solo dopo lo avevano tirato indietro per i piedi. Trovatemi un altro che entra nella storia come All Black, il più nero di tutti, però di umore, il più malinconico e inconsolabile. Be’, a forza di cercarli, li ho finalmente trovati. E se non giocavano a rugby, peggio per loro: questa è un’aggravante.

 

Il primo è Jules Noel, francese, specialista nel lancio del disco. All’Olimpiade del 1932, a Los Angeles, al quarto tentativo, Noel compì una prodezza, realizzò un’impresa, perfezionò un gesto che mai gli era riuscito nella sua carriera di atleta. Il disco era decollato, era volato – ci mancava solo che a bordo avesse un paio di hostess che fanno l’occhiolino mentre servono, sporgendosi con tutto il loro davanzale, una tazza di bevanda al gusto del the -, ed era atterrato ben oltre tutti gli altri dischi lanciati fino a quel momento. Solo che, in quel momento, i giudici stavano guardando la gara di salto con l’asta. Succedeva, perché i giudici erano pochi e le gare tante. I giudici, imbarazzati, non potendo (o forse non volendo) convalidare e non volendo (o forse non potendo) annullare, decisero di concedere a Noel un’altra prova. Ma quello era stato un lancio fantastico, favoloso, insomma, unico, Noel non fu capace di ripeterlo e tornò a casa senza medaglie.

 

Il secondo è Joe McCluskey, statunitense, fondista, tremila siepi. Sempre in quell’Olimpiade del 1932, a Los Angeles, sulla pista di atletica leggera il titolare addetto a contare i giri era rimasto a casa, malato, ed era stato sostituito da una riserva. Sarà stata l’emozione, o forse l’inesperienza, ma al primo passaggio l’addetto si dimenticò di cambiare il cartello dei giri mancanti. Così, alla fine della distanza regolare, il finlandese Volgari Iso Hollo era primo, McCluskey secondo e il britannico Tom Evenson terzo. Il giro dopo, mentre il finlandese vinceva il titolo olimpico, Evenson superava McCluskey allo sprint. McCluskey fece ricorso, ma tutto quello che ottenne fu la possibilità di ripetere la gara il giorno successivo. McCluskey, esausto e rassegnato, sospirando disse che “una corsa ha un solo traguardo”.

 

Il terzo è Eduard Rapp, sovietico (quell’unione di stati dell’Est, inimmaginabile a pensarci adesso), corridore a due ruote. All’Olimpiade di Montreal, nel 1976, nella prova del chilometro da fermo, Rapp partì un niente prima del via dello “starter”. E pensando – come succede in questi casi – che lo “starter” lo avrebbe richiamato per una seconda partenza, si fermò. Invece l’ufficiale di gara aveva stabilito che la partenza fosse buona e così squalificò Rapp proprio perché si era fermato.

 

Ma i più sfigati di tutti sono Yoel Sela e Eldad Amir, israeliani, velisti nel Flying Dutchman. All’Olimpiade di Seul, nel 1988, la seconda regata capitò il giorno in cui gli ebrei celebrano la festa ebraica di Yom Kippur. I dirigenti israeliani proibirono a tutti i loro atleti di gareggiare. A Sela e Amir sarebbe stato sufficiente un undicesimo posto, molto peggio di quello fatto nelle altre prove, per conquistare l’oro.

 

di Marco Pastonesi

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