…e io me la guardo in tv! Autobiografia, tra coccole e stress, di un TMO

Giulio De Santis ci racconta le tensioni legate al suo lavoro. Che lascerà dopo il prossimo Sei Nazioni

Il colmo è stato nell’anno 2008: designato come Television Match Officer per la Bledisloe Cup – il prestigioso trofeo in palio tra Australia e Nuova Zelanda – che eccezionalmente si giocava ad Hong Kong – parto quattro giorni prima, come da disciplinare IRB. Arrivato nella ex colonia britannica, mi preparo “psicologicamente” tra un po’ di shopping e qualche massaggio meraviglioso e poi,
finalmente, allo stadio! Partita bellissima, tante mete ma nessuna richiesta d’ intervento da parte dell’arbitro… armi e bagagli e mi rimetto sull’aereo, quando un dubbio mi assale: “ma è mai possibile che l’IRB spenda tutti questi soldi per mandarmi dall’altra parte del mondo per farmi guardare una partita in televisione? Ma non potevo vederla nel salotto di casa mia?”.
Il dubbio me lo sono fatto passare subito; da dieci anni, infatti, giro il globo rugbistico guardando le partite in tv: Australia, Sudafrica, Argentina, Fiji etc. etc.. Quando sono in tournée, tra una partita e l’altra, approfitto di una settimana di riposo dal duro lavoro di TMO, scarrozzato in giro per il Paese dagli amici arbitri, una grande famiglia legata universalmente da sentimenti, passioni e valori comuni; così come noi coccoliamo gli arbitri stranieri quando vengono nel nostro Paese, stupendoli con le bellezze italiche, quando siamo all’estero ci lasciamo… coccolare.

 

Ma torniamo al duro lavoro dell’arbitro video: facile penserete voi, lì tranquillo in sala regia, 26 telecamere che ti mostrano quello che l’occhio fallibile dell’arbitro non è riuscito a vedere e poi, con tutta calma, dai il sospirato verdetto: “You may award the TRY”!…un gioco da ragazzi!
Niente affatto, quando sei dentro il camion regia della televisione, con le cuffie giganti in testa che sembri il compianto Nando Martellini, la pressione ti sovrasta. Per 80 minuti la distanza del pallone dalla linea di meta la puoi misurare con il battito del tuo cuore, leggiadro quando l’azione si svolge a metà campo, tambureggiante quando il pallone si avvicina drammaticamente alla linea di meta: pick ‘n’ go, pick ‘n’ go e poi rolling maul e poi… tutti giù per terra… magari cadendo addosso alla bandierina, che tanto per complicare le cose è parte della touch di meta alla base, ma è “eterea” nel paletto e nel drappo(!). E allora l’arbitro fischia, con un sorrisetto malandrino chiama: “time off, we have a look”; il gesto con le mani del televisore quadrato e ti chiede: ”Giulio, are you there?”. Che te possa prende un accidente, certo che sono qui! dove cavolo vuoi che vada, mi sono fatto 12 ore di aereo per aspettare una tua chiamata, 80.000 spettatori nello stadio e qualche milione in tv che aspettano e mi chiedi se ci sono!? Poi la fatidica domanda, anzi una delle tre! E già, le formule possono essere tre: “try o no try”, “give me a reason not to award the try” e “but a foul play a try has been scored?”.

 

La prima, meta o non meta, sembra la più facile, ma invece ti inchioda al protocollo, ci sono infatti situazioni nelle quali il pallone spunta tra un groviglio di energumeni accartocciati a terra e tutto il mondo urla “meta!”, ma tu non puoi darla perché in quel momento non sei un uomo, sei una sorta di macchina che deve fotografare il toccato a terra, cioè devi vedere il terreno, pallone e giocatore… e non è facile neanche con tutte quelle telecamere.
La seconda è una pacchia: “dammi una ragione per non darla”… ah che bello, pure se non vedi niente la puoi accordare! Solo se è chiaro che c’è un problema intervieni, sennò dici: “nessuna ragione per non darla… quindi, meta”!
La terza è per segnalare un fallo di antigioco che ha impedito la probabile segnatura.
Sembrerà incredibile ma per rispondere a queste semplici domande ci sono solo una decina di TMO abilitati al mondo, ex arbitri internazionali come me che al termine della carriera sono passati dall’altra parte… dello schermo. Mi sono reso drammaticamente conto dell’importanza e gravità del ruolo di arbitro video l’anno scorso quando ho avuto il privilegio e l’onore di essere designato come arbitro video nella finale della Coppa del Mondo 2011, Francia vs. Nuova Zelanda.
Quando l’allora capo degli arbitri, il neozelandese Paddy o’Brien me lo ha comunicato mi è uscita la lacrimuccia… subito seguita da un ansia da ospedale psichiatrico. Ho cercato di consolarmi pensando che tanto gli All Blacks avrebbero distrutto la Francia, la sensazione ad Auckland era che i tuttineri, dopo decenni di astinenza, avrebbero sbranato i galletti… anche se l’arbitro mi avesse chiamato, pensavo, la mia decisione non avrebbe condizionato l’esito finale, tanto sarebbe stato il divario tra le due squadre.

 

Per la famigerata legge di Murphy, a dieci minuti dalla fine, la Francia era sotto solo di un punto e insisteva, arrembante, nei 22 metri avversari… tra i giocatori All Blacks cominciava a serpeggiare il terrore che potessero perdere a casa loro, davanti al loro Paese, praticamente si adombrava una sorta di lutto nazionale. Seduto nel box regia, un povero TMO italiano – ma vi rendete conto, le sorti della Coppa del Mondo nelle mani di un italiano!– aveva ormai finito di mangiarsi le unghie fino alla terza falange delle dita e ripensava ad un articolo del NZ Herald del giorno prima che titolava: “La vittoria della Coppa del Mondo può valere un punto di PIL!”; un punto di prodotto interno lordo?! Ma è roba da miliardi di euro! E se mi sbaglio e mi chiedono i danni?!!
Tutto andò bene, nessuna chiamata e festa grande ad Auckland… non per me, di corsa all’aeroporto per rientrare a casa dopo 50 giorni da globetrotter… con ancora negli occhi le immagini di Aotearoa, “la terra dalla grande nuvola bianca”.

 

… a proposito, dopo il VI Nazioni mi ritirerò, le prossime partite me le guarderò… in televisione, ma con la birra in mano, sigh!

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