In una intervista a Repubblica il ct azzurro lancia il suo invito a istituzioni e politici a mettere anche lo sport nel loro orizzonte
“Nei programmi dei politici non si parla di sport e dei suoi valori. Siamo noi che gestiamo il gioco. Noi che decidiamo il futuro. E allora: attacchiamo». A parlare è il ct azzurro Jacques Brunel che con Massimo Calandri su Repubblica non parla di tattica o di rugby giocato, ma di politica. O meglio, dell’assenza di cultura sportiva dal panorama della politica: «…(le grandi di Ovalia, ndr) potrebbero essere più vicine, se in Italia ci fosse un’altra cultura sportiva. È la cosa che negativamente mi ha colpito di più, quando sono arrivato qui, un anno fa. I ragazzi restano a scuola fino a metà pomeriggio, poi se ne vanno a casa. Quelli che fanno sport devono pagare, e non hanno la possibilità di trovare la disciplina più adatta alle loro caratteristiche».
Un invito quello che Brunel lancia alla politica italiana, che scommettiamo però rimarrà inascoltato. Per insipienza e incapacità della politica stessa in primo luogo, ma non solo. Perché la politica è anche – in parte – lo specchio della società che rappresenta, e purtroppo da noi cultura sportiva non la fa nemmeno chi dovrebbe averla come mission o core bussiness. Basta aprire i quotidiani nazionali sportivi per capire che quella formula – cultura sportiva – è per lo più declinata verso un’unica disciplina. Della quale, tra l’altro, non sempre vengono messe in adeguata evidenzia storture e magagne (non che non ve ne siano altrove, anzi, ma in percentuale vengono messe maggiormente in rilievo. Giustamente). Bisognerebbe iniziare da lì, dare più spazio ai tanti, troppi, sport relegati a boxini e tagli bassi.
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