L’allenatore azzurro spiega l’approccio da tenere verso un torneo che non ama i pronostici
”Speriamo di fare la stessa cosa di due anni fa, speriamo di cominciare con lo stesso risultato”. Jacques Brunel è un uomo scafato e che ha navigato a lungo per il mondo, ma proprio per questo non promette nulla. Però ci spera. Si augura che domenica 3 febbraio all’Olimpico si ripeta l’impresa del marzo 2011, quando piegammo la Francia. Forse non ci crede un granché – i galletti visti a novembre sono di un altro livello – ma perché non sperarlo o provarci? E lo dice, perché da buon psicologo sa che in questa maniera può istillare nei suoi il “dubbio” della vittoria senza farlo diventare un obbligo ingombrante.
Dopo aver annunciato i nomi dei 30 azzurri il ct tiene i piedi ben piantati per terra: ”La nostra ambizione è confermarci sul livello di gioco mostrato durante i test match di novembre. Credo che siamo sulla strada giusta, la squadra ha preso fiducia, e possiamo ancora migliorare”. Ma nessuna illusione: “Non ho mai visto una partita facile al Sei Nazioni. Il torneo è così: ogni anno è diverso, non si sa quale squadra vincerà, quale sarà la piu’ forte. Speriamo un giorno che si possa arrivare a dire che l’Italia è in grado di vincere. Questa deve essere la nostra missione”. Ribadisce così le parole che aveva detto il giorno della sua presentazione, e cioè arrivare nel giro di tre anni a poter entrare nel novero delle possibili pretendenti alla vittoria finale (non di vincere il torneo, come poi la vulgata tradusse quelle dichiarazioni).
La squadra è quella che ci si aspettava, nessun sconvolgimento o grossa iniezione di facce nuove. Il gruppo per 27/31 è lo stesso di novembre, non c’è l’infortunato Mirco Bergamasco mentre suo fratello Mauro non è stato convocato per scelta tecnica, questa volta nemmeno per fare da chiocchia ai giovani: il terza linea non sta passando il suo miglior momento e l’età avanza inesorabilmente. E vista la concorrenza che c’è in reparto la sua avventura in maglia azzurra potrebbe essere conclusa (ma non sottovalutiamo la sua grinta e la volontà di dire – e dare – ancora qualcosa…).
Fuori ormai definitivamente dai giochi anche Festuccia e Totò Perugini. Tra i trequarti si rivedono Garcia e Gonzalo Canale che a La Rochelle ha ripreso a giocare da un mese dopo l’infortunio che lo ha tenuto fermo a novembre. L’unica novità assoluta è Paolo Buso, non c’è Morisi che sta giocando poco (a dirla tutta pure Benvenuti…) ma il ragazzo avrà altre occasioni.
Sei le Zebre convocate, mentre la pattuglia che arriva dal Benetton è di diciotto giocatori. Per i biancoverdi un onore ma anche un oggettivo problema: in attesa di un “riequilibrio” tra le due franchigie italiane si spera in una gestione più elastica possibile per i giocatori che non rientrano nei 25 messi a referto per le gare, tenendo ovviamente ben presente le necessità di Jacques Brunel e sapendo che rispetto a novembre potrebbero esserci problemi logistici maggiori legati alle due trasferte.
Ma torniamo alle parole. All’annuncio della squadra era presente anche il presidente FIR Alfredo Gavazzi, che non dice cose molto diverse da quelle dell’allenatore: ”Il Sei Nazioni è la competizione più importante dell’anno, spero si ricrei il clima di ottimismo e fiducia visto nei test-match autunnali. Speriamo che adesso si possa fare un ulteriore piccolo passo in avanti, di consolidamento”. Dopo i due sold-out con Inghilterra e Scozia (anche se quello con il XV di Sua Maestà caratterizzato dal gap-neve) e la sbornia All Blacks le prevendite per le tre gare interne vanno a gonfie vele: “Non sarà facile riempire l’Olimpico per tre volte vista – dice Gavazzi – e venire a Roma dal Nord ha costi importanti, ma noi faremo di tutto per riempire lo stadio”.
E il presidente FIR – come ci racconta Solorugby – a margine dell’annuncio di Brunel risponde anche alle domande sul ricorso circa la sua elezione presentato da Gianni Amore, con tanto di richiesta al CONI di commissariamento della federazione: “Il Coni per l’assemblea elettiva ha scelto un presidente di qualità che conosce bene le regole. Ebbene, io e Amerino Zatta eravamo in regola. Anche perché ci è stato detto che non aveva alcun senso, da parte nostra, presentare un bilancio di numeri. Sono tranquillo”.
Parole un po’ meno pacate nella sostanza – ma non nella forma – per quanto riguarda invece il “caso Ferraro”, il giocatore squalificato l’altro giorno per sette mesi. Insieme a frasi di circostanza (“Non entro nel merito, sono episodi isolati”) il presidente FIR si premura di ricordare un vecchio episodio in cui la vittima del pugno di Ferraro, Riccardo Pavan, si era comportanto in maniera un po’ “irruente”, dando quindi di fatto almeno un po’ di sostegno alle parole di coach Cavinato che aveva dato del provocatore a Pavan. Ma forse in quel momento in Gavazzi ha preso il sopravvento il suo essere uomo-Calvisano. Cose che possono succedere.
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