Il centro azzurro ci parla del gruppo italiano, delle avversarie e del perché si “sia meritato” di stare fuori un mese
Tommaso Benvenuti è uno dei nomi su cui conta l’Italia ovale del futuro. Lo abbiamo incontrato a Verona ospiti di Franklin&Marshall. Tra una domanda sul prossimo Sei Nazioni e le prospettive azzurre lo abbiamo anche trasformato in modello per un giorno.
Per un mese circa non ti abbiamo visto in campo, poi il ritorno contro il Tolosa in Heineken Cup “condito” da una bellissima meta. Ora il Sei Nazioni alle porte, come stai?
Bene, sto molto bene. Sono stato fuori parecchio, è vero, ma credo me lo meritassi, non stavo per nulla giocando bene o comunque non al mio meglio. Potevo dare di più e non l’ho fatto. Ora ho una gran voglia addosso, spero di giocare e di fare bene.
Il Sei Nazioni inizia il 3 febbraio: un anno fa l’Italia ha vinto con la Scozia e sfiorò una clamorosa affermazione contro l’Inghilterra. Come vi avvicinate al torneo 2013?
Siamo fiduciosi e nel gruppo sentiamo il dovere di rispondere in maniera positiva e concreta alle grandi attese e all’affetto che ci circonda. Farlo per noi è una cosa importante: giocare bene contro l’Inghilterra, gli All Blacks o l’Australia è ok, ma vincere è meglio. Noi vogliamo vincere. Quando perdi, perdi e basta, anche se hai magari giocato bene o addirittura meglio dell’avversario. Se inglesi e australiani alla fine ci hanno battuto vuol dire che se lo sono meritato. Dovevamo fare di più.
Il presidente Gavazzi ha chiesto due vittorie: è un obiettivo alla portata di questo gruppo?
Sì, lo è, è raggiungibile. Certo non sarà facile. Poi il Sei Nazioni è un torneo così strano, sfugge a qualsiasi pronostico, non bisogna mai sottovalutare nessuno.
Come vedi le nostre avversarie?
La Francia sembra fortissima, quella di novembre quasi irraggiungibile, però quando si va in campo ogni volta è una storia a sé. Comunque sarà davvero dura. L’Inghilterra…uguale, a maggior ragione a Twickenham! Però rispettiamo tutti ma non temiamo nessuno. Giocare a Edimburgo con la Scozia non sarà semplice: ogni volta si dice che si vince, ma alla fine è successo solo una volta. Il Galles sembra che abbia diversi problemi, ma vatti a fidare. L’Irlanda non ne parliamo: ha tanti giovani davvero forti, può fare benissimo. Squadra da prendere con le pinze.
E l’Italia?
Io la vedo bene. Stiamo crescendo, siamo un bel gruppo, tra noi stiamo davvero bene. Essere amici è molto importante: quando sono arrivato non c’erano tanti giovani, io ero uno dei pochissimi in un gruppo di atleti molto più esperti. Ora è diverso. L’ambiente è migliore e più rilassato, siamo concentrati e possiamo fare bene.
Quanto “pesa” Jacques Brunel in tutto questo?
Molto. E’ un bravissimo allenatore e psicologo. Con lui siamo cambiati, giochiamo in maniera diversa, siamo più liberi di tentare e di provare soluzioni diverse. E se qualcuno sbaglia non importa, nessuno te lo fa pesare.
Prima non era così?
No. Con Mallett avevamo degli ordini molto più rigidi, non dovevamo prendere iniziative personali o sgarrare. Chi lo faceva veniva subito ripreso. E giocare così non è facile, se il timore di sbagliare prende il sopravvento non rischi più nulla. Subentra la paura dell’errore e quella magari di perdere il posto in squadra o nel gruppo. Ora l’ottica è diversa, mi pare più corretta.
Una libertà che ci pare si possa “leggere” anche nelle prove del nostro uomo-simbolo, Sergio Parisse. Rispetto all’ultima fase della gestione Mallett sembra più rilassato, quasi non si sentisse in dovere di fare mille cose diverse. E la qualità delle sue prestazioni è cresciuta molto.
Sì, probabilmente è così. Però devo premettere che io stravedo per Sergio, secondo me è un giocatore straordinario, come pochissimi altri in circolazione. Forse non sono equilibrato nel mio giudizio.
Mettendo da parte la nazionale, come giudichi finora la stagione del Benetton? C’è stata un crescita evidente, ma forse è arrivato qualche risultato in meno rispetto a quanto seminato.
Troppo spesso non si tiene conto di un fattore importante. Il primo anno celtico nessuno si aspettava una squadra già a quei livelli, c’è stato un generale elemento-sorpresa. Oggi ovviamente non è più così, ci conoscono e sanno che con noi è dura per chiunque, ogni avversario sa che può perdere. Questo da un lato ci fa onore, ma rende le cose anche un po’ più difficili. Poi mettiamoci qualche errore di troppo nostro o alcune partite in cui la fortuna non ci ha dato un gran mano… Insomma, qualche vittoria in più potevamo anche portarla a casa.
Ultima domanda. Tra gli azzurri sei tra quelli più richiesti per campagne pubblicitarie ed eventi extra-sportivi, diciamo così. Come vivi questa cosa?
Un po’ mi fa strano, ma è divertente e fa piacere essere apprezzati e riconosciuti anche al di fuori del campo di gioco. Però per me quella è la cosa più importante, il resto viene di conseguenza.
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