Un biancorosso in visita ai biancocelesti

Il racconto di un astinente dal rugby, che da Vicenza va a vedersi Valchiampo – Trento di C2.

Il Vicenza non gioca, come tutte le altre squadre impegnate nei molteplici campionati, è fermo per gli impegni della Nazionale impegnata nel Sei Nazioni. Ma non posso passare un pomeriggio senza assistere ad una partita di rugby, potrei anche accettare questa ipotesi, ma siamo in febbraio e non in estate, quando gioco forza i campionati si fermano e con buona pace di amici, famigliari ed affini, inizia il seppur temporaneo periodo di “disintossicazione” per essere puri e intonsi al via del campionato successivo. Consulto il sito del Comitato Regionale Veneto, perché, se vi fosse una opportunità, la cercherei proprio nei recuperi della serie C Elite e possibilmente C2, proprio per rituffarmi in un ambiente che, almeno per noi del Vicenza, era familiare sino a pochi, pochissimi anni addietro. Un ritorno a quelle partite giocate in campi improbabili, con poche persone ad assistere all’evento e per di più quasi esclusivamente composto da morose, genitori, e qualche amico di questo o quel giocatore. Un ritorno a quei campi in cui di rado si aveva la possibilità di vedere la partita da una tribuna o da una gradinata ma che ti costringono a guardare la partita in piedi aggrappato alla rete che lo delimita e che, come ben descriveva Paolini nel suo rugby raccontato, in caso (quasi sempre) di fango, ti faceva arrivare addosso uno “sgrinfo de paltan”. Insomma un ritorno ad un rugby allo stesso tempo grezzo e romantico, ruspante ma nobile. Ecco individuata la partita. Il Valchiampo, penultima in classifica del campionato di serie C girone 2, recupera sul proprio campo, il match con il Trento Rugby, squadra collocata in sesta posizione della stessa graduatoria. Perfetto, proprio quella che fa al caso mio. Sono solo ed esclusivamente queste le motivazioni che fanno salire in automobile dirigermi alla volta di Chiampo. Noi tifosi del Vicenza, ci siamo costituiti nel Fan Club Rugby Vicenza, quando eravamo a nostra volta in serie C, e mai e poi mai, ci permetteremo di assistere ad una partita, ora che siamo in serie A, con snobismo o atteggiamenti altezzosi verso chicchessia, proprio perché l’etica di questo sport non lo accetterebbe mai e perché nutriamo il massimo rispetto verso chi ora milita nelle serie cosiddette “inferiori”. Arrivo giusto in tempo per l’inizio della partita. Tutto come preventivato. Il campo non ha un fili d’erba neanche per scommessa. Uno di quei campi dal fondo che si definirebbe sabbioso senza disdegnare la presenza di brecciolino e qualche sasso. Forse è proprio tutta questa sabbia che ha impedito il formarsi di pozzanghere più o meno vistose…….che fortuna. Non vi sono gradinate, non c’è una accogliente club house a dispensare l’immancabile birra e, vista la rigidità della stagione, un vin brulè o il the caldo. Non ci sono gli scaffali dove fanno bella vista di se i pochi ma ambitissimi trofei che tutte le squadre riescono a vantare nel proprio palmares. Non ci sono le mensole su cui poggia l’immancabile merchandising della propria società, fatto di maglie, sciarpe e ammennicoli vari che, come ognun di noi ben sa, servono a ragrannellare qualche soldo e a fidelizzare un po’ alla volta gli amici che portano altri amici e che un po’ alla volta diventano supporters. Insomma una cornice all’evento di tipo “eroico” e che di certo trova in tutta Italia centinaia di questi esempi molto simili. E’ la sublimazione della volontà, la giusta “follia” del vietarsi il quesito…..”ma chi me l’ha fatto fare” , il trionfo del rugby “fai da te”. Si certo perché, in ogni caso gli amici del Valchiampo non hanno voluto rinunciare ad offrire agli infreddoliti spettatori un bicchiere di vin brulè e il the caldo non l’hanno preparato per i soli giocatori. In una postazione, seppur di fortuna, tutto ciò era disponibile, come lo erano le T-shirt del club biancoceleste e la possibilità, da me subito condivisa, di prendere la tessera di supporters del Asd Valchiampo Rugby. Un vanto! Poi guardandoti attorno scorgi alcuni visi familiari. Mi saluta con fare da vero anfitrione Rudi Meca, per l’occasione collaboratore come giudice di linea del mito assoluto della classe arbitrale della nostra regione, Vanni Favorido. Mi saluta anche Nicola Bordin, già centro biancorosso ed ora giovanissimo vicepresidente del sodalizio locale. Incontro Graziano Lovato con signora che ora sta dando una mano alla mischia bianco celeste, arriva d’un tratto anche Stefano Cipriani con il quale noi tifosi biancorossi abbiamo condiviso proprio quel cammino che ci ha portati dalla serie C alla serie A. Scambio due parole anche con Marco Fracca, il nostro “collezionista di ossa” che proprio a Chiampo ha mosso i primi passi da rugbista. Insomma un bel po’ di visi noti e tutti vittime di questo “bao” incredibile che si chiama rugby. La partita prende lentamente una piega favorevole ai padroni di casa, i quali seppur carenti in alcuni fondamentali, riescono a venire a capo del Trento. Alla fine degli ottanta minuti di gioco il risultato arride ai bianco celesti 20 a 17. L’esultanza prende il sopravvento, la felicità è palpabile, i giocatori festeggiano fragorosamente il terzo successo stagionale (di cui uno a tavolino) ma è il primo ottenuto sul proprio terreno e quindi carico di un sapore particolare. Tutto finisce qui? Si passa a fare bisboccia? No, per i ragazzi del Valchiampo, non è così. Il Trento, dopo il rituale saluto con gli avversari, prende la via degli spogliatoi, mentre, come d’incanto, i bianco celesti, ancor fumanti di sudore devono smontare le due acca per ripristinare il campo con quelle da calcio. Eccoli allora impegnati con la necessaria attrezzatura e con robusti badili, al lavoro supplementare che vista la vittoria appena conseguita forse può risultare meno pesante. Escono finalmente dal campo portando a spalla i lunghi pali delle porte che fino a  pochi minuti prima arredavano quel campo in cui anche le proverbiali patate avrebbero qualche problema a crescere. Un campo che li ha visti impegnati dal mattino. Bisogna “fare le righe” ben sapendo che dopo dieci minuti di gioco ne resterà a stento il solo ricordo. E arriva anche Tivo, altra anima di questa giovane società, che una volta finito il lavoro di ripristino del campo, può finalmente consegnare a questi meravigliosi ragazzi le chiavi dell’agognato spogliatoio per concedersi la migliore delle docce, quella del vincitore. Volevo vedere una partita di rugby, ho incontrato un sacco di amici e conoscenti, ho ritoccato con mano un rugby che magari lascia a desiderare in qualche soluzione di gioco ma che pulsa ardentemente grazie ad un cuore immenso. Di certo dall’alto ha assistito anche il santo protettore della nostra disciplina e cioè quel William Webb Ellis che come i ragazzi del Valchiampo, ma nel 1823, non si chiese mai…chi me l’ha fatto fare……… (in quel caso di inventare il rugby) per il semplice fatto che è una domanda alla quale è impossibile, come a tutte le sane follie, dare una risposta. Finita la partita poi il buon Webb Ellis sposta la sua visuale sull’Olimpico di Roma, dove va in scena l’altra faccia, altrettanto rispettabile e necessaria della nostra disciplina. Il rugby fatto da virtuosi, da macchine muscolari incredibili, da tecnici raffinati e da fini sofisti della palla ovale. Quello degli stadi da 60.000 persone, quello della grande festa popolare che seppur in scala ridotta e senza voler essere dissacrante ed irriverente di certo è avvenuta a Chiampo. Insomma da Chiampo all’Olimpico di Roma, il rugby ha dato in questa domenica una grande dimostrazione e non solo perché di mezzo ci sono state le vittorie dei padroni di casa, ma perché lo spirito che le ha animate ha trovato il rispetto di chi le ha fortemente volute.  Hic sunt Fels

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