Squali, mete ignude e dollari: cose da australiani

Gli australiani sono inglesi rallegrati dal clima. Qualche volta, anche dalle parole. Marco Pastonesi dixit

ph. Damir Sagolj/Action Images

Gli australiani sono inglesi rallegrati dal clima. Qualche volta, anche dalle parole.
Una volta – era il 1870, o giù di lì – George Coulthard, stella del football australiano, venne invitato a Sydney da Phil Sheridan, dirigente del cricket, per spiegare il bello del suo sport e divulgarlo. Coulthard accettò. Ma prima della conferenza e della dimostrazione, Sheridan invitò Coulthard anche a una gita in mare: barca, sole, pesca. Non fu una gita fortunata: la barca fu assalita da uno squalo, che puntò su Coulthard, sdraiato sul bordo dello scafo, e gli divorò la giacca. Coulthard, scioccato, tornò immediatamente a casa, a Melbourne, senza portare a termine la sua missione. Ed è grazie allo squalo che il rugby è rimasto la disciplina più importante del New South Wales.

 

Una volta – era il 1892, o giù di lì – “Son” Fry firmò quella che viene ancora oggi ricordata come la più imbarazzante meta nel New South Wales. Fry era un centro, gambe e piedi, mete e drop. In una partita contro Queensland, Fry guadagnò un pallone, penetrò nella difesa avversaria finché venne placcato, disperatamente, ai pantaloncini, che gli furono sfilati. Fry si ritrovò nudo, anche perché, sotto i pantaloncini, quel giorno non indossava nulla. E tutto questo sotto gli occhi non solo di centinaia di spettatori, ma anche di sua madre e della sua fidanzata. In una frazione di secondo Fry calcolò che la tribuna con meno pubblico era quella vicina ai pali del Queensland, così si scrollò l’avversario e decise di proseguire, il più velocemente possibile, pallone – e forse anche palle – in mano. Segnata la meta, il pudico Fry si accucciò finché non gli fu portato un altro paio di pantaloncini.

 

Una volta – era il 1907 – due dirigenti della Rugby League (a XIII) andarono a trovare il giocatore della Rugby Union (a XV) e capitano del New South Wales, Harold Judd, per proporgli di trasferirsi nel loro campionato. Ma Judd stava in ospedale, si era rotto una gamba, confessò che non aveva il coraggio di passare sull’altra sponda rugbistica e suggerì il nome di un altro giocatore, Dally Messenger. I due dirigenti presero un taxi e andarono da Dally Messsenger, ma a casa sua trovarono Annie, la madre. I due dirigenti spiegarono le differenze fra League e Union, Annie era impaurita dagli infortuni che avrebbero potuto colpire il figlio, ma quando apprese che per tre partite Dally avrebbe guadagnato 360 dollari, chiamò il figlio e lo convinse a firmare il contratto. Dally sarebbe diventato uno dei più prestigiosi giocatori della League.

 

Una volta – era il 1970 – gli Australian Colts fecero un tour in Giappone. Otto partite. E otto terzi tempi. In particolare quello dopo la vittoria 62-12, sull’All Hiroshima. I giapponesi invitarono gli australiani a ballare. Donne zero: in Giappone – raccontano gli australiani – o le paghi o non le trovi, almeno per quel genere di feste lì. Quella sera, finché si trattava di balli da discoteca, tutti insieme ma ognuno per conto suo, e nessun problema. Ma quando attaccò un lento, e i giapponesi invitarono gli australiani a un corpo-a-corpo, ci fu un certo imbarazzo. Soprattutto per quell’australiano cui capitò un giapponese, con cicatrici sugli occhi e orecchie a cavolfiore, che lo stringeva stretto stretto.

 

Una volta – era il 1991 – Coppa del mondo, Australia-Argentina, il capitano dell’Australia John Eales aveva fatto un brutto passaggio, David Campese era riuscito a trattenere il pallone a fatica e poi non aveva potuto fare altro che correre orizzontale alla difesa dei Pumas. Finché “Campo” trovò un buco, penetrò, scaricò a Tim Horan e fu meta. Bob Dwyer, il tecnico dei Wallabies, volle riprovare il movimento in allenamento, ma venne deriso proprio da Campese, abituato a correre diritto, facendo meno strada possibile. Però, nel match contro gli All Blacks schierati in difesa, Campese si ricordò di quel movimento, insolito e forse inesatto, e lo ripeté spiazzando i neozelandesi, eludendo l’intervento di John Kirwan e andando, stavolta di persona, in meta.

 

di Marco Pastonesi

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