Assistere all’ultima partita del Sei Nazioni 2013 con una vera e propria cerimonia che inizia alle otto del mattino…
Il “warm-up” a Italia-Irlanda comincia nel fresco pungente delle otto di sabato mattina, a Milano, in via Correggio, davanti al tempio del rugby che, nonostante la frequentazione di Tana Umaga e Diego Dominguez, di Diego Abatantuono e Fabio Treves, mantiene la scritta “Elettrauto”. Fuori, parcheggiato in seconda fila come se avesse appena accompagnato un bambino all’asilo ma in modo da bloccare il traffico della suddetta via e da compromettere la circolazione dell’intera zona Fiera, è parcheggiato il camion di Sandro, provenienza Motta di Livenza, provincia di Merlot, Verduzzo, Raboso e Glera, che agli ignoranti come me tocca spiegare che si tratta dell’uva del Prosecco. Centotrentanove fra damigiane da 54 litri, damigianette da 27, cartoni da sei e dodici bottiglie.
Sandro – antico pallavolista che a forza di lavorare nelle vigne e a furia di caricare e scaricare il camion ha assunto dimensioni da attuale rugbista, con tanto di mal di schiena – arrivava a Milano una volta l’anno, adesso tre o quattro, un po’ per indispensabili rabbocchi, un po’ perché nel frattempo la sua fama si è allargata almeno come quella di Lorenzo Cittadini fra i cultori delle prime linee.
Il “warm-up” è teatro: il telone che si apre come un sipario, la strada che si trasforma in palcoscenico, le comparse che si agitano in una catena umana e alcolica che svuota e riempie l’officina, e Cabrio, il grande sacerdote del tempio del rugby, che battezza le bocce e benedice la folla. Spirito santo. Ma il “warm-up” non è solo teatro: è anche cabaret, avanspettacolo e retroguardia. Alle dieci e mezzo, a liturgia conclusa, Sandro rispetta il rituale che lo vede entrare in una drogheria e lo vede uscire carico di tomini e caprini, gorgonzola e mozzarelle, affettati e insaccati. E’ il momento del confronto, dei racconti e delle confidenze.
Ma l’ultima partita del Sei Nazioni 2013 incombe, Sandro sale sul camion, tutti gli altri scendono nella caverna-cripta, finché la coppia Raimondi-Munari attacca la telecronaca. Stavolta la platea è nobilitata dalla presenza di Lucio Chon, che cominciò a giocare ala e finì pilone, da ala poteva essere considerato l’antenato di Jonah Lomu, essendo più di uno e novanta e perdipiù veloce, da pilone ci arrivò ridotto sotto l’uno e novanta ma in compenso appesantito fino oltre il quintale, data la tendenza ad assaggiare tutto quello che gli passava nei paraggi. Occhi a mandorla, origine cinese, lingua milanese, residenza in via Paolo Sarpi, professione benestante finché un rovescio, che essendo economico-finanziario si rivelò più letale di quello di Federer, lo convinse a girare l’Italia a bordo di un camion tipo quello di Sandro, ma senza godere di proprietà a base di Raboso e Glera.
Chon siede su una sedia che è il pezzo forte dell’arredamento cabriolesco, proviene dal trenino Milano-Carate Brianza e si racconta che sia stata acquistata a un’asta. Però sarebbe meglio che Chon si appollaiasse su un trespolo, perché dal primo calcio all’ultimo, che si tratti di Orquera o di Garcia, pronosticando lisci e svirgole, colpi di vento e di sfiga, cali di potenza e di precisione, gufa. Ma Parisse è travolgente, Zanni onnipresente, Ghiraldini infallibile, Gori pimpante, Venditti decisivo, e l’Italia di Brunel – nonostante Chon – conquista la sua seconda vittoria nel torneo.
E’, purtroppo, una felicità precaria, già venata già dalla nostalgia, perché il primo pensiero, al fischio finale, è che le cinque partite del Sei Nazioni sono esaurite e le cerimonie al tempio del rugby sospese ad interim. Infatti, poche ore dopo che il Galles ha schiantato l’Inghilterra, la primavera svanisce come un incantesimo danneggiato da una strega, e torna l’inverno. Freddo e neve, Milan e Inter.
di Marco Pastonesi
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