Il movimento rugbistico italiano si è messo alle spalle l’immobilismo degli ultimi anni. Grazie a un nuovo presidente e ai suoi avversari sconfitti
Nell’incontro di Milano tra Jacques Brunel, il presidente Gavazzi e un gruppo di giornalisti avvenuto ieri sono stati toccati tanti argomenti, tecnici e non, ma ovviamente il tema più dibattuto è quello del “trasloco” delle franchigie verso Roma e Milano. In realtà non siamo di fronte a nulla di concreto. Ancora, almeno. Alfredo Gavazzi ha espresso una sua idea – lui ha usato la parola “sogno” – ma non essendo un comune mortale, all’interno del movimento rugbistico quantomeno, le sue frasi sono inevitabilmente il segno di una prospettiva, di una meta politica (in senso lato). Può sembrare una piccola cosa, ma non è così.
Ieri il presidente federale ha “condito” i suoi discorsi con continui riferimenti alla precedente gestione usando a volte un tono sarcastico, altre volte molto critico. Chi vi scrive non ha mai pensato che Gavazzi potesse essere considerato il delfino di Giancarlo Dondi – lo diceva la storia dei rapporti tra i due personaggi, che si sono trovati dallo stesso lato della barricata più per una serie di di concatenazioni che non per una vera vicinanza- ma riteneva che l’attuale presidente federale si sarebbe mosso su binari non molto dissimili da quelli del suo predecessore su diversi piani. Dopo alcuni mesi dobbiamo invece registrare che le cose stanno andando in maniera diversa.
Le ultime fasi dell’era Dondi si erano contraddistinte per un complessivo immobilismo, lo slancio dei primi anni si era completamente perso, atrofizzato, per far posto all’autoconservazione e allo scontro con i centri che non si assecondavano a questo esasperato autoriferimento. Niente di nuovo sotto il sole: tutti i poteri dopo un po’ tendono a perdere la propria carica propositiva, è inevitabile. E se è vero dopo 6-8 anni figuriamoci dopo 16… Era venuta a mancare quella che gli inglesi chiamano vision, e a prendere il sopravvento era stato il mantenimento di certe posizioni fine a se stesso. Questo non toglie nulla a quanto di buono è comunque venuto da quel periodo, a iniziare dallo storico ingresso nel Sei Nazioni, ma da un certo punto si è commesso l’errore di credere che la crescita del movimento potesse in qualche modo autoalimentarsi: allarghiamo la base e giocatori, tecnici e dirigenti di qualità arriveranno per la legge dei grandi numeri. La base è aumentata, il resto però non è avvenuto. Ci si è fermati.
L’elezione del nuovo presidente ha rimesso in moto un processo che si era interrotto tempo fa. Non stiamo dando un giudizio di merito alle proposte di Gavazzi, non in questa sede. Il presidente federale fa e farà cose buone, meno buone e sbagliate. Il suo è probabilmente un programma meno radicale di quello presentato per l’ultima tornata elettorale da Amerino Zatta (non ci dimentichiamo nemmeno di Gianni Amore), ma in comune con il suo avversario del voto dello scorso metà settembre c’è la presenza di un progetto di largo respiro, di una vision appunto. Non è infatti un caso che Benetton Treviso e FIR abbiano ripreso a collaborare e a parlarsi in maniera continuativa e – pare – produttiva. Guardare al di là del proprio naso aiuta. Avere un panorama ampio e che arriva lontano nel tempo anche. Gli errori ci sono e ci saranno, ma almeno davanti al rugby italiano è stata nuovamente tracciata una strada. Buona o meno è tutto da vedere, ma la strada c’è. E, davvero, non è poco.
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