“Quando giocavo ho preso anfetamine, lo facevano tutti, ma il doping organizzato non l’ho mai visto”. Parole che fanno discutere
Rappresentante di una famiglia che ha dato molto al rugby francese, cinque volte in nazionale, una vita passata al Bayonne come giocatore prima e allenatore poi, ct del Giappone e molto altro. Ma in quel molto alto per Jean-Pierre Elissalde c’è anche il doping. In una intervista rilasciata in Francia e destinata a fare molto rumore l’allenatore ha ammesso di aver preso anfetamine “almeno un paio di volte tra gli anni ’70 e ’80”.
Elissalde parla in modo molto franco di quanto accadeva all’epoca: “Tutti prendevano qualcosa: calciatori, atleti, ciclisti e rugbisti. A me è capitato due volte. Nulla di straordinario, non prendiamoci in giro, e nulla di organizzato: quel tipo di doping, quello organizzato appunto, io non l’ho mai incontrato né da giocatore e neppure da allenatore”.
Solo qualche giorno fa un rapporto dell’Agenzia per la lotta al doping in Francia ha messo in subbuglio il mondo del rugby transalpino perché indicava proprio nella palla ovale lo sport più interessato dal fenomeno, almeno da un punto di vista statistico (il rapporto cioè tra numero di controlli effettuati e casi positivi accertati). Dati che sono stati contestati e hanno fatto arrabbiare non poco la Ffr, la Lnr e l’associazione dei giocatori di Francia.
Infine Elissalde si concede una battuta che non piacerà a molti ma che va a rinfocolare alcuni “adagi” abbastanza diffusi nel mondo del rugby: “ci sono giocatori dell’emisfero sud che hanno un rendimento incredibile e che quando arrivano in Europa non riescono a mantenere quegli standard…”.
Parole che, dicevamo, faranno molto rumore anche se applicare a quell’epoca un approccio come quello attuale alla lotta al doping sarebbe fuorviante e probabilmente poco corretto: troppe le differenze culturali. Non che allora fosse “giusto” doparsi, questo mai, ma trenta o più anni fa l’attenzione al problema da parte di tutti i principali attori del palcoscenico sportivo era davvero molto diversa. Più criminale se vogliamo in alcuni casi, più “ignorante” in altri, soprattutto tra gli atleti. Ma qualunque testimonianza possa servire per squarciare i veli dell’oblio e della memoria va sempre presa nella massima considerazione, sopratutto se arriva da atleti di quel livello.
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