Rugby da frontiera, rugby che viene dal basso: nel cuore della palla ovale

Marco Pastonesi racconta con il suo inconfondibile stile uno dei libri più interessanti usciti negli ultimi mesi

Dalla pagina facebook dei Briganti Librino

Ezio, che durante la Seconda guerra mondiale fa il sommergibilista. Quando il sommergibile viene silurato, ci sono 65 morti, 35 feriti e un illeso. Lui. Sessant’anni dopo Ezio viene investito da un treno. Illesi. Sia lui sia il treno. Fra sommergibile e treno, una vita di rugby prima nel Milano poi nell’Asr Milano.
Dino, che sta a Catanzaro come William Webb Ellis a Rugby. Negli anni Settanta fonda la squadra della Libera Università di Catanzaro, e nel terzo millennio ci riprova con il Gruppo sportivo rugby Catanzaro, la rinascita comincia con un 81-0 contro i Barbarians Reggio Calabria, anche se gli 81 punti sono subiti, non segnati. E stavolta, pur fra mille difficoltà e zero campi (ma il segreto è giocare sempre in trasferta), Dino va avanti.
Stefano e Pino, che sono come Fra Tuck e Robin Hood, non nelle foreste di Nottingham ma nel sole di Catania, anzi, Librino. Qui ogni anno si organizza la Coppa Iqbal Masih, rugby contro lo sfruttamento del lavoro minorile, e da un anno anche il Trofeo della legalità, che non ha bisogno di sottotitoli. Il bello è che la squadra si chiama Briganti, ed è invece alla ricerca di regole, di disciplina e di codici che, fuori dal campo, non esistono.
E gli All Reds (il nome di battesimo la dice lunga sull’orientamento politico e filosofico), che a Roma giocano nel Cinodromo, anzi, nell’ex Cinodromo, perché i cani sono spariti da più di 10 anni, in una struttura fatiscente e anche inquietante, ma piena di vita. Quella di un centro sociale.

 

Dieci club, che chiamarli club è un’acrobazia letteraria. Dieci società, o dieci gruppi, o dieci squadre, e cento storie, e mille ragazzi che nel rugby hanno trovato una strada, un modo, una storia. Francesco Costantino ha incontrato “Il popolo ovale” (Possibilia editore, 304 pagine, 15 euro). E’ il rugby di base e di spirito, anche di anima. E’ il rugby di cantina e di osteria, anche di soffitta. E’ il rugby giovanile e sociale, anche carcerario. E’ il rugby come senso e direzione della vita. E’ il rugby come educazione vitale, stradale e campale. E’ il rugby italiano, quello più silenzioso e invisibile, ma anche quello più valoroso e coraggioso.
E’ il rugby nella periferia di Napoli e nelle capitali della camorra. Una storia da film. Nel 2006, alle scuole elementari di San Giovanni a Teduccio, vogliono un pallone ovale. Bruno predica e razzola, fa e dà, infine porta i suoi ragazzi a vincere prima i campionati studenteschi della città, poi quelli regionali, infine a Roma quelli nazionali. Allora viene chiamato anche a San Giorgio a Cremano. Bruno, stavolta con Rino, non si tira indietro e su un campo in asfalto – quello del parcheggio della scuola, dove una volta la settimana gli insegnanti sono invitati a non parcheggiare le loro macchine – insegna mischie e corse, forma avanti e trequarti, crea una squadra fortissima in attacco (la necessità di non farsi prendere è una filosofia che qui regna sovrana), ma evanescente in difesa (ogni placcaggio, sull’asfalto, rischia di tradursi in un piccolo suicidio). Anche la scuola Massaia va forte: vince i campionati provinciali e quelli regionali, poi però si ferma a quelli nazionali. E per continuare a giocare, anche qui basta farlo sempre in trasferta, perché affittare un campo costa tanto, costa troppo. E si sa: il rugby italiano – quello vero, quello autentico, quello di base – è in bolletta.

 

Costantino, un rugbista che non vorrebbe arrendersi alle scadenze dell’età e ai limiti del corpo, ha fatto questo viaggio con un fotografo (Federico Scoppa, in bianco e nero) e attraverso le confidenze e le confessioni di tanti ragazzini. Come Umberto, di Ravenna, che ha il dono della sintesi: “Estremo? Puoi calciare o correre all’impazzata”.

 

di Marco Pastonesi

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