Marco Pastonesi ci racconta la storia di una squadra nata quasi per caso e giunta ora a una promozione storica
Maglia a strisce orizzontali gialle e blu: l’ampiezza delle strisce è variabile, dipende dal volume della pancia dei giocatori. Braghe blu: l’età dei modelli si vede a occhio nudo, pur sapendo che certi inverni rugbistici (questo è stato uno di quelli) valgono per dieci. Calzettoni gialli: di solito abbassati, spesso per mancanza di elastici, alcune volte anche per mancanza di polpacci. Scarpe possibilmente ai piedi: purché tacchettate.
Eccoli, sono i Mastini di Opera, la prima squadra al mondo nata in un bar fra gente che il rugby – al massimo – lo aveva visto giusto al bar in tv. Mastini perché ignoranti, Mastini perché la prima volta che sono entrati in campo sembravano quindici piloni, tutti e quindici cilindrotti da un quintale e via, Mastini perché la prima partita non sapendo giocare almeno volevano mordere le caviglie degli avversari, Mastini perché poi si è scoperto che uno storico locale del primo Novecento (l’avvocato Valvassori Peroni: e non sarà certo un caso se il Giuriati nuovo, che pure sembra vecchio se non vecchissimo, insomma quello che si vede dai treni, sta proprio in via Valvassori Peroni) scriveva che Bernabò Visconti, signore di Milano, teneva a Melegnano i suoi “ferocissimi mastini, che l’aiutassero a consumare le sue orge crudeli”.
Sei anni dalla prima volta che dai chinotti si passa alle touche, dalle birrette alle maul, dai bianchini agli ascensori. La prima amichevole – si fa per dire: di amichevoli, nel rugby, ci sono solo i terzi tempi – i Mastini le prendono dall’Amatori Tradate, il primo torneo a sette organizzato dagli Unni di Cocquio, e poi quella volta in cui vengono travolti nientemeno che dai polli del Chicken Rozzano, ma anche quella in cui fra risate e risotti addomesticano il Vercelli, finché arriva il campionato, e in campionato la soddisfazione di vincerne una, finalmente e infine, essendo l’ultima, a Varese. Da allora un viavai di Mastini, un tale viavai che a rimanere impressi sono più i soprannomi dei nomi e cognomi, come Toto l’allenatore siciliano, come Bellu l’allenatore milanese già attore in “Fame chimica”, come Bulby, l’autore della prima storica meta dei Mastini, come Fudo, bella bestia marchigiana di 137 chili emigrato per lavoro in Canada, come Maraz, uno dei quindici piloni originari e rimasto pilone, come Maso, capitano e massaggiatore, massaggiatore di professione per altre cosce e garretti, e come Bortolo, l’immaginazione al potere quando giocava con qualsiasi maglia dal 9 al 15 anche in serie A, attualmente predicatore di placcaggi e miniunit.
C4 sembra un codice rosso per il ricovero immediato al pronto soccorso, invece è il campionato, diciamo base, diciamo fondista e fondale, diciamo “ground zero” del sistema federale italiano. Cioè: meno di così si gioca a ping pong o a croquet. Stagione 2012-2103, come se non bastasse, neanche entrati in campo i Mastini cominciano con otto punti di penalizzazione causa mancanza di squadre giovanili. E’, purtroppo, solo un cavillo burocratico: abituati a mordere, ma non a scrivere, i Mastini sbagliano nel compilare il documento con cui si certifica l’affiliazione dei Porcospini di San Donato, Under 14 e Under 16, che poi a ben vedere, fra Mastini e Porcospini, la parentela è evidente. Comunque amen. I Mastini le vincono tutte all’andata, anche con il bonus, e cominciano a crederci, e le vincono tutte anche al ritorno, e all’ultima giornata di campionato il calendario propone la finale, Mastini 64 punti e Delebio 62. Per farla breve: i Mastini vincono 15-13 con un piazzato a cinque minuti dalla fine, e vengono promossi. Sarà C3 o forse già C2. Sarà un’avventura. Sarà un cinema. Sarà una festa. Perché, come ormai cantano anche a Twickenham: no Mastini, no party.
di Marco Pastonesi
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