Locky-Ginger, cuore del Munster che piegò anche i giganti All Blacks

Marco Pastonesi ci porta nel 1978, a Limerick, casa di Gerry McLoughlin. Un pilone che custodisce un pallone prezioso

ph. Paul Harding/Action Images

Thomond Park, Limerick, Irlanda. Il 31 ottobre 1978. Munster-All Blacks. Tom Kiernan, l’allenatore di Munster, è l’unico a credere nella vittoria. Lo hanno ribattezzato “la volpe grigia”: volpe per la furbizia, grigia per i capelli. Del rugby Kiernan conosce l’anima e i corpi, lo spirito e i compiti, la filosofia e le voglie. E da “volpe grigia”, del rugby conosce anche gli animali e i colori. Kiernan ha una sua religione, e un suo credo: nessuna squadra è imbattibile. Anche se questa squadra si chiama All Blacks. Quel giorno ai suoi giocatori non ha molto da dire: li ha già prima educati, poi istruiti. Sanno. Conoscono. E faranno. Kiernan si limita a ricordare ai suoi soltanto un concetto, un’idea: loro – e per loro intende ovviamente gli All Blacks – non vi gireranno intorno, loro proveranno a passare attraverso di voi. Il concetto è chiaro, l’idea, da un certo punto di vista, suggestiva. Dall’altro punto di vista, allarmante.

 

Uno dei Munster è Gerry McLoughlin. Alcuni lo chiamano Locky, altri Ginger. Si sa, i rugbisti amano i soprannomi: un po’ come succede ai pugili, forse perché sia nel rugby sia nella boxe è una questione di attimi, un intreccio di colpi, e non si può perdere tempo. O forse no, è solo una questione di fretta e di affetto, di affettuosa fretta più che di frettoloso affetto. Locky, o Ginger, insomma McLoughlin, è pilone. Numero 1 o numero 3: fa niente, è lo stesso. Apparentemente, almeno lì, c’è poco affetto e anche poca fretta. C’è solo da mettere giù la testa, spiega Locky-Ginger, e poi spingere, rubare, confondere, mostrare chi è il più forte, a prescindere anche dal pallone. Locky-Ginger sostiene che la prima linea è tutto, il resto viene di conseguenza. Se chi gioca in prima linea è un uomo, gli altri sono ragazzi. Se gli altri sono uomini, chi gioca in prima linea è un gigante, un ciclope, un titano. In Irlanda la gente ama i piloni: li considera una razza, una specie, una casta. Duri, tosti, ignoranti. Gente da rispettare se non da amare. Gente che protegge e riscalda anche a distanza. E compagni di cui non si può proprio fare a meno: un saltatore lo trovi, di terze è piena la panchina, ma i piloni sono un’altra categoria, un’altra storia. E Locky-Ginger sa che le partite si vincono lì, in prima linea, o almeno si cominciano a vincere lì, e il resto sono soltanto dettagli, statistiche, parole, e spettacoli di intrattenimento.
Locky-Ginger viene da Shannon, suo padre guidava gli autobus, sette giorni su sette, a tutte le ore. I McLoughlin sono una famiglia della classe operaia. La classe giusta per stare in prima linea. Locky-Ginger ricorda quella volta in cui Shannon va a Dublino per allenare la nazionale irlandese. Prima mischia, e la prima linea irlandese stappa. Seconda mischia, e la prima linea irlandese si sfalda. Terza mischia, e la partita viene sospesa per non confondere e immalinconire i verdi d’Irlanda.

 

Per farla breve: quel 31 ottobre 1978 Locky-Ginger è in campo contro gli All Blacks, e per raccontare il match ci vorrebbe almeno un libro. Magari un’altra volta. Qui basti sapere che il pallone di quella partita lo custodisce, in soffitta, proprio Locky-Ginger. Succede quando Tony Ward calcia così alto e forte che il pallone scavalca i confini dello stadio e finisce in un cortile: è il cortile di Marge Kenihan, cugina di Locky. E nel cortile c’è Jude, fratello di Marge, in cima a una scala, a guardare la partita gratis. Locky-Ginger scuce una banconota da cento sterline e Jude gli consegna il pallone.
Un giorno diranno che a quella partita fra Munster e All Blacks avevano assistito centomila spettatori. Bugie. Non erano più di diecimila, anche se stretti come sardine. Ma a forza di raccontarla, di padre in figlio, di pilone in estremo, di giocatore in scrittore, quella partita fra Munster e All Blacks l’hanno vista tutti.

 

di Marco Pastonesi

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