Marco Pastonesi ci porta ai piedi delle Alpi Cozie, dove c’è una società che sarebbe piaciuta anche a Hemingway
A Ernest Hemingway sarebbero piaciuti. Non solo i cuneesi al rhum. Quei cioccolatini di meringa e crema pasticcera gli erano piaciuti, la mattina del 9 maggio 1954, quando si fermò a Cuneo, si sedette ai tavolini della pasticceria Arione, se ne gustò qualcuno, poi ne comprò una confezione e la portò alla moglie, in vacanza a Nizza. A Hemingway sarebbero piaciuti, e molto, i rugbisti del Cuneo Pedona: gente per la quale, almeno una volta al giorno, suona la campana. Ovale.
Bisogna spiegarlo bene, anche a Hemingway, il Cuneo Pedona Rugby. Innanzitutto il nome: Cuneo sta per Cuneo, che s’incunea fra due valli e si proietta verso la Francia, che già con il rugby ha molto a che fare e molto da dare; e Pedona è l’antico Borgo San Dalmazzo, a otto chilometri da Cuneo. Poi la storia, che è un salto triplo: il primo salto nel 1982, anno di nascita dell’Amatori Cuneo, il secondo salto nel 2000, anno di nascita del Pedona Rugby, il terzo salto, definitivo ma infinito perché non si è ancora atterrati, nel 2009, anno di nascita del Cuneo Pedona, che tutto comprende, moltiplica e divide, dentro e fuori da un campo che sembra un miracolo – infatti si trova alla Madonna dell’Olmo, in località Piccapietra -, misure degne del Sei Nazioni, 100 metri per 70, più due aree dove andare in meta pare meno difficile che altrove. E poi gli spogliatoi, e poi una sede che chiamarla club house è forse un po’ troppo, e presto anche le tribune.
Cuneo Pedona è quanto di più vicino esista fra il rugby italiano e quello francese. Almeno geograficamente. Volendo, ci vuole meno tempo ad andare a vedere una partita a Tolone che non a Milano, con tutte le differenze di qualità di gioco che si possono stimare immaginando Jonny Wilkinson, per dirne uno che gioca a Tolone. Qualcuno parla addirittura di rugby occitano, ispirandosi alla cultura e alle tradizioni di quell’area transnazionale, provenzale, che va dai Pirenei alla Linguadoca, fino alle Alpi Cozie e alle Alpi Marittime. Insomma, il “patois” prima del “paté”.
Tant’è che il grido di battaglia dei rugbisti cuneesi è in occitano: “A’ la brouo”, intraducibile, ma minaccioso. Tant’è che la squadra degli Old vanta un nome occitano: “Marì Garsoun”, i ragazzacci. Tant’è che per certi terzi tempi speciali, si suona musica occitana: Sergio Berardo e i suoi Lou Dalfin, a forza di ghironde, organetti e cornamuse.
Maglie bianche e blu, a scacchi, in onore del Pedona, oppure bianche e rosse, a strisce, in omaggio a Cuneo. Duecentosessanta tesserati, forse di più, dall’Under 6 ai seniores, che giocano in serie C di merito, dagli Old alle prime donne, non più soltanto eterne fidanzate dei giocatori o mamme prodighe e prodigiose, ma anche giocatrici. Volontariato voglioso e volonteroso, alla base dell’intero movimento, in attesa che qualche mecenate si travesta da sponsor e sposi la causa.
L’allenatore della prima squadra – Christian Albertini – che viene da Marsiglia, prima che l’Italia del rugby s’innamorasse del francese pirenaico Jacques Brunel. Tornei per conoscersi e farsi conoscere, trasferte per esplorare e imparare, feste per raccogliere soldi, missioni in scuole, perfino quelle materne, per vincere tabù e convincere genitori, e già una società considerata satellite se non gemella, a Saluzzo, già una cinquantina di tesserati. E qualche tifoso-sostenitore appassionato, come l’Arione di quella premiata pasticceria che 59 anni fa ospitò e sedusse Hemingway.
Sì: al vecchio Ernest, il Cuneo Pedona Rugby sarebbe piaciuto.
di Marco Pastonesi
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