Cose azzurre: i quattro volti dell’Italia contro il Sudafrica

Un’analisi a freddo di quanto visto in campo sabato a Durban in una partita che lascia molte cose su cui riflettere

ph. Rogan Ward/Action Images

Primo tempo inguardabile e secondo di ben altra pasta. La fotografia della partita della nazionale azzurra che abbiamo fatto un po’ tutti – con gradazioni diverse – è questa. Però a ben vedere è un po’ limitante perché sabato a Durban abbiamo visto una partita con almeno quattro fasi ben distinte.
La prima, orribile, sono quei venti minuti in totale balia del Sudafrica. Ma a ben vedere il vero problema di quella prima frazione di gioco non è nemmeno quello, che prendere le sberle da quella che è da sempre una delle grandi potenze mondiali del rugby e l’attuale numero due del ranking IRB è una cosa che può capitare a chiunque. No, il problema vero è stato l’atteggiamento mentale e l’approccio alla partita che come abbiamo già scritto sabato è stato molle e senza alcuna intensità. Si può scendere in campo e subire totalmente l’avversario (come con il Galles nell’ultimo Sei Nazioni) oppure provare a fare il proprio gioco senza riuscirci mai (come con la Scozia nello stesso torneo) ma al Kings Park è successo che per venti minuti abbondanti la Banda Brunel è rimasta in campo a guardare un po’ per aria, sperduta, senza sapere che fare e perché si trovasse lì. Una roba mai vista nella gestione del ct francese e che ha riportato le lancette della nazionale indietro di parecchio.

 

Per fortuna è stata solo una fase. Già la seconda metà del primo tempo ha visto dei miglioramenti, minimi, ma dei miglioramenti: più disciplina innanzitutto, una mischia che ha cominciato a macinare un po’ di gioco, qualche tentativo estemporaneo di portarsi avanti (e in uno abbiamo rischiato anche di segnare una meta…). Poca, pochissima roba, intendiamoci, ma sta di fatto che negli ultimo 18 minuti del primo tempo non abbiamo più subito un punto, anche se il Sudafrica non ha smesso un momento di spingere. Saremo stati anche particolarmente fortunati, ma i numeri quello dicono.
Dei primi 20-25 minuti del secondo tempo si è detto in abbondanza: altra squadra, determinata, cattiva e vogliosa, con il piglio giusto. Emblema di questa metamorfosi è un Luca Morisi tanto insicuro e balbettante nel primo tempo quanto aggressivo e sicuro di sé nel secondo. Per metà frazione gli azzurri giocano e mettono alle corde i padroni di casa che non solo non mettono il naso fuori dalla loro metà campo ma non riescono più a costruire nulla e probabilmente l’Italia raccoglie anche meno di quanto non semini.
Qualcuno dice che è stato il Sudafrica ad abbassare la guardia, a concedere spazi. Forse, non si può eliminare l’ipotesi a priori, ma queste cose generalmente si fanno in due con meriti e demeriti che si equivalgono, e poi perché allora il discorso non potrebbe valere anche per quello visto nel primo tempo, ovviamente a parti invertite?
L’ultima fase della partita è quella che vede gli azzurri sulle ginocchia con i padroni di casa che dilagano e che ci puniscono in maniera anche eccessiva. Una stanchezza da un lato concepibile visto che noi siamo al termine di una lunga stagione e i sudafricani sono invece nel pieno della loro, ma è anche vero che la stragrande maggioranza del gruppo azzurro non giocava una partita da un mese. E forse allora è meglio parlare di freschezza mentale più che di brillantezza fisica.

 

Sono tante le cose da sistemare, da rivedere e correggere, Jacques Brunel lo sa molto meglio di noialtri scribacchini. Ma al di là degli errori (subire certe mete in prima fase, anche se davanti hai il Sudafrica, non è accettabile) e delle prestazioni dei singoli quello che nessuno di noi vorrebbe più vedere è quell’atteggiamento mentale dei primi venti minuti, a prescindere dall’avversario che si ha davanti. Ma siamo pronti a scommettere che il ct è il primo a non volere assistere a un bis simile.

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