Un allenatore di rugby, il campione italiano dei superleggeri: sono la stessa persona, Renato De Donato. Ce lo racconta Marco Pastonesi
Venerdì 21 giugno. La sera. Al Crespi. Che sarebbe il nuovo Giuriati, a Milano, quello che si vede passando con il treno. Il campo più spelacchiato d’Italia. Lì, davanti alle tribune, e davanti ai suoi ragazzini, Renato De Donato difenderà il titolo italiano. No, non rugby. Boxe. Perché Renato non è solo l’allenatore dell’Under 12 e il preparatore atletico dell’Under 14 del Cus Milano: rugby. E’ anche il campione italiano dei superleggeri: boxe. E stavolta, per la prima volta, il rettangolo si stringerà in un quadrato, le linee si trasformeranno in corde, le bandierine diventeranno angoli. Sarà metamorfosi: spingere come rinoceronti e galoppare come levrieri si concentreranno in danzare come farfalle e pungere come api.
Ha diciassette anni, Renato, quando entra in una palestra. Solo che in quella palestra si fa pugilato. Anche se niente puzza di cuoio e sudore, di Brooklyn e bassifondi, ma profumo di moda e fitness. Renato entra da spavaldo, da spaccone. A fargli abbassare la cresta ci pensa il primo esercizio: ripetute al sacco, quello pesante. Picchia a tutta. E alla fine si piega in due e vomita. Un mese più tardi, quando il maestro gli dice “dai, adesso prova a salire sul ring”, a Renato tremano le gambe. Perché è come se, di punto in bianco, ti dicessero che è arrivato l’istante del giudizio universale. Ti senti nudo, e non hai niente da metterti addosso. Renato non sa neanche chi salisse sul ring con lui, contro di lui. Ma è uno come lui. Renato tira e prende, tira e prende, finché quello come lui – ma meno di lui – gli dice “vacci piano” e il maestro gli promette che “dopo ti faccio divertire sul ring di là”. Di là dove ci sono altri che, quando tirano, prendono.
Intanto: maturità artistica e Scienze motorie. Intanto: libertà di pensiero e curiosità di iniziative. Intanto: un giorno Enzo Belluardo, uno che ha giocato in prima linea e che poi ha fatto del rugby una missione, gli propone di dedicarsi anche al rugby. A Renato si apre un mondo. Un altro mondo. E li abita tutti e due. Da una parte è “il Chirurgo”, per la precisione dei colpi, mancino, tant’è che diventa campione italiano. Dall’altra è un educatore ovale: studia – appassionatamente – regole e tradizioni, schemi e valori, fino a saperle comunicare e trasmettere.
Il bello della boxe è danzare e pungere. Lo diceva Muhammad Ali. Danzare come una farfalla e pungere come un’ape. Saper cogliere l’attimo. Entrando e fuggendo, colpendo ed evitando, variando e confondendo. La boxe è, per diventare arte, musica. Musica da solista. Assoli. Anche il rugby è musica. Ma banda e coro. Sinfonia o rap, milonga o rock: dipende. Ma quindici orchestrali con tanto di spartito e poi liberi di improvvisare.
De Donato sta recuperando il tempo perduto. Letture, da Jack London a Joseph Conrad. Musica, da Fabrizio De André a Vinicio Capossela. Boxe, da Niccolino Loche, detto El Intocable, a Floyd Mayweather, detto Pretty Boy. Rugby, e qui bastano gli insegnamenti di Pablo Perata, ex giocatore, ora mental coach. Ci sono momenti in cui boxe e rugby sono identici, se non come colpi o gesti, almeno come obiettivo e spirito. Nell’uno contro uno. La boxe per natura e il rugby per circostanze o per esempi: quando non si delegano azioni o responsabilità.
Così, venerdì 21 giugno, la sera, al Crespi, che sarebbe il nuovo Giuriati, a Milano, quello che si vede passando con il treno (e se non siete a Milano, allora anche alla tv), dateci un occhio: tante sedie a coprire il campo da rugby più spelacchiato d’Italia, e tanti minirugbisti a bordo ring. Il loro allenatore, Renato De Donato, campione, contro Andrea Scarpa, sfidante. Titolo dei superleggeri in palio. Fuori i secondi.
di Marco Pastonesi
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