Durante un allenamento a Perth uno spettatore è stato allontanato per aver effettuato dei video. Un disguido, ma la miccia è accesa
“Ho semplicemente detto che abbiamo fatto delle scommesse sul fatto che ci stessero filmando”. Così Warren Gatland, head coach dei British &Irish Lions, ha cercato di glissare sulla spy-story che starebbe tenendo banco in Australia, e che più o meno ogni quattro anni si ripete, con coloriture e modalità diverse, durante le visite della selezione britannica nell’emisfero sud.
La questione, checché Gatland ne dica, è leggermente più delicata. Dopo la vittoria sui Reds, lo stesso allenatore ha affermato che durante una sessione di allenamento a Perth è stata allontanata dal campo una persona che senza apparente autorizzazione stava riprendendo i movimenti di gioco dei suoi giocatori. La fantomatica spia, a cui è stato cancellato il file di registrazione incriminato, si è poi rivelato essere un innocuo wedding-plenner locale, capitato lì casualmente. Immediata la risposta della federazione australiana: “Nessuna persona collegata allo staff dei Wallabies ha filmato o assistito agli allenamenti dei Lions”.
Tutto finito? Macchè. La palla è passata a Robbie Deans, allenatore della nazionale dei canguri, il quale ha prima smorzato il colpo associando ai Lions la creazione della vicenda, salvo poi aggiungere che loro, i britannici, hanno a disposizione un ufficio sicurezza, mentre la sua nazionale no. L’ultima (per ora) parola è toccata ad Andy Farrell, assistent coach di Gatland: “Non siamo paranoici. Semplicemente, vogliamo che le cose si svolgano nella giusta maniera”. E adesso? Staremo a vedere. Una cosa è certa: la differenza in campo non la faranno i video delle telecamere ma la prestazione dei giocatori. Ma poi, davvero ha ancora senso parlare di spy-stories al tempo del rugby 2.0?
di Roberto Avesani
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