“Voglia di vincere” è l’ultimo libro di Franco Paludetto, storie di uomini, di amicizia, di osterie e di campi da rugby.
Un libro delicato e nostalgico che racconta della provincia, fra gli anni ’50 e gli anni ’70, da Treviso a Padova, passando per Rovigo allungando per la bellissima Venezia.
Ogni capitolo è una storia a sé e tutte insieme sono lo spaccato di un mondo scomparso, un’Italia che non c’è più; ma soprattutto è la testimonianza del perché e del per come questo tratto d’Italia, tracciando una riga immaginaria, da una città all’altra, forma un ovale perfetto.
La giovinezza e le esperienze di Paludetto Franco -“ Chi ha giocato a rugby rimane giovane per sempre” -, all’anagrafe Giovanni, perché quando nacque, l’8 luglio del 1940, la recente dichiarazione di guerra all’Inghilterra e alla Francia impedì all’impiegato comunale d’iscriverlo con un nome che evocava il nemico. Uomo innamorato del rugby: dalla “Coppa Cicogna” con la maglia del suo Treviso, al Rugby a XIII, dall’Amatori Milano al C.S. Esercito.
Un libro che parla di una strana palla che a vederla giocare dai soldati inglesi nei campi intorno a Treviso, nell’immediato dopoguerra, il padre di Franco pensava fosse un pallone sgonfio e che gli uomini “in cachi” la usassero non avendo a disposizione un pallone rotondo più adatto a passarlo coi piedi.
Fu Gino, operaio della cartiera amico suo, a spiegargli che si trattava di uno sport e che conosceva dei ragazzi in città che giocavano con una palla ovale fatta da quattro spicchi di cuoio.
“Voglia di vincere” (Edizioni Libreria dello Sport, 168 pagine, 10 Euro) è un libro che parla di uomini, di amicizia, di piazze, di osterie e di campi da rugby. Storie minori e gigantesche. Mario “Maci” Battaglini, Piero Stievano, Arturo Zucchello, Piero Peron, Franco Frelich, Ferdy Sartorato, Giancarlo Malosti, Gianfranco Biggi, Aldo Milani, che soleva dire: “Si gioca nel fango, nel gelo e sotto la pioggia. Chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso in partenza” e di tanti altri, così tanti che non si può fare l’elenco e ci dispiace non citarli uno per uno, conosciuti o sconosciuti, sono tutti importanti.
Riferisce di grandi rivalità, di comiche zuffe in tribuna finite nel migliore dei modi perché chi stava in campo fermava la partita e si metteva a guardare quei matti sugli spalti, per poi riprendere il gioco e le due squadre uscire abbracciate così da mettere in chiaro cosa fosse il rugby e che il rispetto vien prima della vittoria.
Parla di leggende e di aneddoti buffi, come quella storia che Guido Mestriner, “vecchia” seconda linea trevisana, raccontava ai ragazzi della giovanile: una meta segnata da Malosti scalzo ad un piede dopo aver fatto credere alle terze linee trevisane che la sua scarpa fosse il pallone.
Parla di trasferte, della fierezza degli avversari (da Parma a L’Aquila, dalla Partenope al C.U.S Catania), d’incontri e di conflitti, ma soprattutto è il ritratto minuzioso e sincero di uno sport formidabile che ha sancito amicizie eterne e insanabili dispute, ma si sa: “nel nostro gioco esistono sane rivalità, mai rancori “.
È l’insegnamento di Franco alle generazioni che dopo di lui hanno corso verso la linea bianca abbracciando l’ovale al petto o se ne sono liberati solo per calciarlo coi piedi e col cuore per segnare quei punti che a volte determinano una vittoria.
“Il rugby è una passione che avvince, brucia e non abbandona più. È una scuola che insegna ai ragazzi a diventare uomini e ti fa sentire forte e sicuro, ma non invincibile. Giorno dopo giorno ti accorgi dei tuoi progressi, ma anche dei tuoi limiti. Alle volte, nella vita, ci portiamo dietro dei difetti che non conosciamo e non riusciamo a correggere. Nel rugby è diverso. Il campo ti dà la misura delle tue debolezze e impari a vincere la superbia e l’egoismo, a superare la timidezza, a impegnarti nella lotta leale nel rispetto di te stesso, dei compagni, dell’allenatore e dell’arbitro. Un bagaglio di esperienze che ti accompagnerà per tutta la vita. È difficile che un rugbista, una volta lasciato il campo, diventi un cattivo cittadino”.
Proprio nell’ultimo capitolo che dà il titolo al libro, Franco manifesta apertamente la sua nostalgia per il rugby dilettantistico, esprime i suoi dubbi sull’autentico attaccamento alla maglia, una volta emblema dei colori del gonfalone cittadino. Ma non è il rugby ad essere cambiato è il mondo che muta e si evolve, nel bene e nel male.
Lui stesso scrive: “L’umiltà è la grande forza del rugbista, che lo spinge a dare sempre il massimo mettendosi a disposizione di tutti, considerandosi l’ultimo e il meno importante della squadra”.
Ci piace credere che sia ancora così e che sarà vero per sempre.
Per chi fosse interessato, il libro è disponibile e trovate la scheda a questo link.
Dello stesso autore, nel catalogo della Libreria dello Sport, potete leggere:
I SOGNI E LE MISCHIE
OLTRE LA LINEA BIANCA
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