Un passato da rugbista sui campi di mezza Italia e non solo. Un presente da chef capace di inventarsi un personaggio televisivo di successo. La nostra intervista
Una vita passata sui campi da gioco con la maglia della Roma, della Lazio, del Rovigo, del Poneke (Nuova Zelanda) e dei Pessimi (beach rugby). Una vita passata in cucina tra cibi, profumi, alimenti e condimenti. Una vita con due passioni – il cibo e la palla ovale – e ora una bella notorietà grazie al programma tv “Unti e bisunti” trasmesso da DMAX (canale 52 del digitale terrestre, all’808 di Sky), trasmissione televisiva di cucina come non ce ne sono altre in circolazione, tra cibi dalle tradizioni antiche cucinati in strada e uno sguardo involontariamente documentaristico sulle città protagoniste di ogni singola puntata, tanto che alla fine ne esce un piccolo trattato sociale e antropologico.
Abbiamo incontrato Gabriele Rubini, alias Chef Rubio, il protagonista assoluto della trasmissione.
Birra e rugby sono un connubio ormai classico, due soggetti che vengono messi vicini anche da chi la palla ovale la guarda poco o nulla. Eppure il legame che tiene vicino il rugby al cibo è altrettanto forte. E sono le passioni della tua vita
Ad essere sincero è venuta prima quella per il cibo, per il mangiare. Buono o cattivo lo lascio giudicare agli altri, intanto l’importante è che ci sia qualcosa da mettere sotto i denti. Sono diventato quindi prima un grande mangiatore e poi un rugbista. Non so se è stato lo spirito di squadra, la convivialità o di condivisione ma ho cominciato un po’ per scherzo a preparare da mangiare un po’ per tutti i compagni, cose semplici come la pasta. Avevo piacere a stare dietro ai fornelli e non so nemmeno con quali risultati, ma livello e capacità allora erano piuttosto basse. Mi sa che loro, i miei compagni, si affidavano al buon cuore e all’amicizia…
Tutto è nato così quindi?
Sì, avevo questa grande passione e mi sono sempre chiesto se questa cosa poteva diventare un qualcosa di più. Tutto poi ha preso a correre quando sono andato a giocare in Nuova Zelanda dove però dovevo anche lavorare, che sarà pure il paradiso del rugby ma finché non arrivi almeno in NPC non puoi non avere un lavoro. Io sono stato fortunato e sono riuscito a entrare in una cucina di un ristorante ed è arrivata anche l’intima convinzione di poterne fare anche una professione.
Poi cosa è successo?
Ho continuato con il rugby ma alcuni brutti infortuni mi hanno frenato. Di pari passo portavo avanti la mia crescita e formazione culinaria. Devo anzi in qualche modo ringraziare quei lunghi stop: senza quegli infortuni probabilmente non mi sarei mai preso troppo sul serio come cuoco, o comunque ci sarei arrivato molto tempo dopo, forse troppo. Avrei continuate ad andare avanti e a prendermi testate rallentando il processo di crescita culinario.
Dopo l’ultimo anno di professionismo serio a Rovigo sono sceso nel semiprofessionismo con la Lazio e ho recuperato gli anni “persi” come cuoco.
E ti sei iscritto all’ALMA, la scuola di cucina di gualtiero Marchesi. Che ha sede a Colorno, uno dei cuori del rugby italiano. Una coincidenza incredibile a ben pensarci…
Davvero, sembra un gioco del destino. Quando ho iniziato a studiare lì stavo ancora con la Lazio e avrei dovuto giocare proprio contro il Colorno, poi mi sono rotto il crociato anteriore e non sono sceso in campo.
Il tuo programma “Unti e bisunti” dice che non è vero che molti dei cibi considerati grassi o pesanti lo siano davvero nella realtà. Un po’ come la trippa, che in realtà godrebbe di una sorta di “cattiva stampa”. Tu la metteresti mai nella dieta di preparazione di un atleta, di uno che gioca a rugby?
Intorno alla trippa c’è molta ignoranza. E’ ipocalorica, ha tantissime proteine e non ha praticamente grassi, è antiestetica ma questo non la fa diventare pesante. E’ anzi nutriente e ad alta digeribilità. Poi che non venga inserita nelle diete sportive, anche nel rugby, è un’altra faccenda. Ma non sta a me dirlo
Il rugby, immaginiamo, lo segui sempre
Sì, appena posso vado a vedere una partita. Lazio soprattutto ma anche Rovigo. Mi informo, leggo e poi gioco a Beach con I Pessimi, anche se quest’anno mi sa che mi sono rirotto qualcosa al ginocchio…
Un’ultima cosa: Castrogiovanni ha detto più volte che la sua grigliata di carne non la batte nessuno, e se organizzasimo una sfida?
Beh, che Castro faccia bene la griglia ci credo: è argentino. Laggiù non puoi farla male con la qualità dei prodotti che hanno e la cultura dell’asado. Credo che anche un architetto che non ha mai cucinato sarebbe in grado di farla davvero bene. Detto questo non stento a credere che Castro sia bravissimo, sa di sicuro il fatto suo. Vorrei provarla, per una volta mi farei servire…
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