Intervista all’ex capitano azzurro. Perché Parma è scomparsa dal rugby di alto livello, norme da modificare e molto altro…
Partiamo dalla fine dei Crociati: in una intervista rilasciata ormai un paio di settimane fa accusavi apertamente l’ex coach Francesco Mazzariol e i giocatori Roberto Mandelli e Daniele Goegan di aver affondato sul nascere il progetto GialloParma con i loro arbitrati. Ora, magari avranno dato il colpo finale, ma forse le ragioni di questo flop sono da ricercare altrove.
In queste cose ci si fa prendere spesso dalla foga del momento e si rischia di cadere nella narrazione politica. Bisogna fare un passo indietro: dal 2011 una circolare FIR obbliga i club a garantire i propri debiti anche se non ancora certificati da un lodo definito. Detta così la cosa non è sbagliata presupposti, ma per come è strutturata, mette nelle mani dei giocatori un potere enorme e basta che un tesserato presenti un arbitrato più o meno documentato per ipotecare il futuro di un club. Si parte dal presupposto che la società abbia sempre torto e questo è grave. In più l’AIR rischia di diventare una sorta di braccio armato.
Faccio subito chiarezza: non contesto affatto il diritto di un giocatore o di un allenatore di presentare una formale richiesta di arbitrato, ma i tempi diventano fondamentali e se la mia richiesta arriva prima dell’iscrizione al campionato può succedere che quel club non possa prendere parte al torneo, perché in quel momento non è in grado di far fronte, ma lo sarebbe nei mesi successivi; chi gestisce delle società sportive sa bene cosa sono i flussi di cassa ed i loro tempi. E alla fine chi ha presentato l’arbitrato non potrà avere i suoi soldi perché una società che non si iscrive a un campionato fallisce e diventa impossibile pagare quanto dovuto. Le società, proprio in forza del vincolo di continuità dei debiti e crediti, non possono più come in passato, creare delle scatole cinesi piene di debiti e mandarle al macero; i debiti seguono il titolo sportivo e presentare un arbitrato 15 giorni prima o dopo per il tesserato non cambia nulla, ma per un club può significare la vita o la morte.
Quindi?
I tre di cui mi dicevi hanno una responsabilità “oggettiva” nel fallimento del GialloParma. Se avessero aspettato l’iscrizione della società all’Eccellenza prima di muoversi, non li avrei tirati in ballo. Con la loro decisione hanno fatto perdere quanto dovuto anche ad altri 20 ragazzi, hanno fatto chiudere un club e messo fine a un progetto. Non mi sogno nemmeno di dire che non dovevano difendere i loro interessi, ma con un altra tempistica. E’ stata una vicenda gestita male, malissimo. Ripeto: io contesto i tempi.
Nelle stesse settimane in cui morivano i Crociati si sono invece salvati i Cavalieri Prato
E’ intervenuta la politica, gli arbitrati sono stati ritirati ed ipotecando il contributo ERC del 2013/2014 la partita è stata temporaneamente chiusa. La domanda è cosa succederà adesso, se il club toscano riuscirà a coprire le spese che una società di quel tipo dovrà sostenere e affrontare, mancando in partenza una cospicua fetta di finanziamenti o se alla fine non si farà altro che proseguire una situazione di enorme difficoltà. Io mi chiedo anche perché la stessa proposta non è stata fatta anche ai Crociati? Figli e figliastri?
C’è da dire che le difficoltà a Parma non erano una novità dell’ultima ora e che si trascinavano da tempo
Quando sono salito a bordo della barca-Crociati lo scafo era già molto inclinato e la situazione non era certo delle migliori, imbarcavamo già acqua. Abbiamo fatto il possibile e se poi qualcuno ha deciso che “muoia Sansone con tutti i Filistei” io non posso farci nulla.
Quale l’errore che avete commesso?
Quello di annunciare pubblicamente, la scorsa stagione, di avere delle difficoltà economiche. Quando ammetti di avere dei debiti per tutti diventi una sorta di cloaca, inizia una sorta di processo che non fa che aumentare le difficoltà. Singolare che nel campionato di Eccellenza 2012/13 fossimo l’unica società ad avere dei debiti verso tesserati…
A che punto è il rugby italiano?
I club sono la linfa vitale del movimento ma sembra che nessuno se ne renda conto in federazione, già da molto tempo. La costosa macchina delle accademie e dei centri di formazione che sta per partire poteva essere gestita direttamente dalle società, con degli investimenti mirati da parte della Fir per portare i club verso una gestione più moderna ed efficiente. Sono le società ad operare direttamente sul territorio, avviando migliaia di giovani alla pratica del rugby con grandi sforzi logistici ed economici. Senza i club le accademie rischiano di diventare delle scatole vuote, ed a questa situazione si dovrà mettere mano alla situazione, prima o poi.
Negli anni ’90 ci fu un grosso sforzo dei club per entrare in un professionismo di fatto anche in assenza del traino della nazionale, che proprio grazie a questi sforzi, nello specifico le due franchigie in pectore, Milan e Benetton con i loro 9 scudetti in dieci anni divisi tra i due club, riuscì ad entrare nel Sei Nazioni. Ora è giunto il momento in cui sia la Nazionale, vedi Fir, ad aiutare le società che formano la base. Il rugby italiano è un fenomeno anomalo rispetto alle altre Union, non abbiamo il loro background e abbiamo un panorama frastagliato, anche dal punto di vista geografico. Pensiamo al sud: è completamente fuori dal giro dell’alto livello, ma è una risorsa dal potenziale enorme ancora non sfruttata.
Qualche soluzione?
Il “sopra” bene o male funziona, è ovviamente migliorabile ma è sul “sotto” che bisogna lavorare. Dobbiamo diminuire il numero degli stranieri che rappresentano un costo eccessivo per quello che portano. In troppi pensano di prendere scorciatoie e di tagliare i tempi grazie al ricorso a giocatori non italiani. Se al San Donà di turno, senza nulla togliere allo storico club veneto, per esempio togliessimo i suoi stranieri diventerebbe probabilmente una forte squadra di serie A1. Potrebbero diventare due per squadra e non avere più di 23 anni, eventualmente eleggibili anche per la Nazionale. Stiamo pagando le scorie di 15 anni di “stranierismo” a tutti i livelli.
L’Eccellenza deve diventare il serbatoio delle franchigie, destinate in futuro ad aumentare di numero, magari quattro, con una collocata al sud. La Nazionale è la testa di un gigante che però ha i piedi di argilla.
Il presidente Gavazzi è ormai in carica da un anno. Hai notato delle differenze rispetto alle gestione Dondi?
Siamo ancora all’inizio ma qualche bilancio si può trarre: mi sembra che si possa parlare ancora di una conduzione molto centralista, c’è forse più spazio per le società per farsi sentire ma mi pare che da parte federale ci sia un ascolto più formale che sostanziale.
In Italia, pur con tutte le differenze da caso a caso e con alcune importanti eccezioni, sembrano mancare i dirigenti preparati. Tre anni fa ho fatto un master di School of Management e Sports Business Academy alla Bocconi. C’erano Billy Costacurta, Gianmarco Pozzecco e altri nomi importanti dello sport italiano come studenti. Per il rugby c’eravamo solo io e Alessandro Corbetta, che però fa il procuratore. Certo, era a pagamento…
Più che in giocatori stranieri i soldi andrebbero investiti in dirigenti e tecnici, il ritardo tra questi ultimi è enorme: dopo tredici anni di Sei Nazioni nelle nazionali giovanili arrivano dei ragazzi con delle lacune tecniche inconcepibili per il livello a cui aspira il nostro movimento.
Torniamo a Parma: con la fine dei Crociati anche il progetto TerraOvale si fermerà? O subisce solo una battuta d’arresto?
No, non si ferma, ma dovrà essere rivisto nei tempi e nei modi. E’ inevitabile. La risposta dei diretti interessati, i club da coinvolgere, finora è stata tiepida, per non dire fredda. Dobbiamo capire su quale territorio dobbiamo ora muoverci; molte amministrazioni locali ci hanno contattato per la continuità del progetto e questo è un fatto positivo.
Come si spiega la freddezza di una città rugbisticamente evoluta come Parma a tanti progetti, dai Crociati alle Zebre…
Per quanto riguarda le Zebre l’errore è di concepirle come una squadra della città: i bianconeri sono piuttosto la squadra dell’Italia del nord-ovest. Sono una squadra che “appartiene” a Milano, Torino, Bologna, Genova, Firenze…. E a dirla tutta il pubblico di Parma è sempre stato un po’ freddo, non siamo mai stati come L’Aquila o Rovigo.
Tornando alle Zebre: il board della Celtic League all’inizio aveva specificatamente indicato in Roma e Milano le sedi ideali per le franchigie, per ovvie ragioni commerciali e di marketing. Poi è intervenuta la politica e le cose sono andate come sono andate. Con tutto il rispetto per il lavoro svolto e gli sforzi sovrumani sostenuti da Melegari l’esperimento-Aironi non poteva non essere votato al fallimento. E poi non c’è solo questo…
Cosa c’è d’altro?
Noi perdiamo tempo perché la parte politica ha un peso enorme, eccessivo. Frena tutto. Anche il dibattito mediatico non è all’altezza. Prendiamo il “taglio” del torneo d’Eccellenza da 12 a 11 squadre: se una cosa simile fosse successa nel calcio se ne sarebbe parlato per mesi. Ora, non dico che nel rugby si debba avere la stessa eco, ma qui non se n’è quasi parlato e tutto è passato in cavalleria senza che se ne dibattuto in alcuna sede. Probabilmente paghiamo il fatto che troppe grandi città sono fuori dal grande rugby: Torino, Firenze, Napoli e quindi l’attenzione mediatica in generale si accenda solo per la Nazionale. C’è poi il caso di Milano dove è stato fatto di tutto perché si arrivasse a una sorta di suicidio collettivo pur essendo in presenza di un altissimo numero di tesserati.
Ultime due domande: qual è oggi la situazione a Parma e quali sono stati gli errori di Massimo Giovanelli
A Parma si gira con gli elemetti in testa, aspettiamo che finisca la guerra. Ci siamo cullati in 15 anni di presidenza federale pensando che certe cose non sarebbero potute succedere. Abbiamo sempre avuto una rappresentanza anche in consiglio federale ma poi ognuno ha curato gli interessi particolari, il suo giardinetto. Credo che per un bel pezzo i fasti del passato non torneranno.
Cosa ho sbagliato io? Tutti facciamo errori. Dal momento che ho accettato questo ruolo ho cercato di rimettere paletti e ordine in una società dove ogni gerarchia era saltata e tutti facevano tutto. Certo devo ammettere che non sono un grande negoziatore, a volte ci vorrebbe un po’ più di diplomazia e di errori probabilmente ne ho commessi più di uno. Quello che veramente mi dispiace è di non poter mantenere fede agli impegni presi con i ragazzi che negli ultimi mesi della scorsa stagione hanno dato tutto quello che avevano e che si sono comportati in maniera encomiabile.
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