Qualcuno si difende bene, ma calciatori e pugili sembrano avere qualcosa in più. Marco Pastonesi ci racconta una storia particolare
Per esempio: George Best, calciatore estroso, che nel tempo libero – e ne aveva molto – si dedicava a donne e alcol. A proposito del collega David Beckham, l’attaccante nordirlandese disse: “Non sa calciare di sinistro, non sa colpire di testa, non contrasta e non segna mai. A parte questo, tutto il resto è ok”. Best (che nel cognome aveva già tracciato lo scomodo destino di essere il Migliore) avrebbe potuto sintetizzare il suo giudizio bollando Beckham come “pippa” o “sega”, o rifilandogli un quattro in pagella. Invece trovò quel modo elegante e geniale per stroncare il David Bowie del pallone rotondo.
Offendere, insultare, criticare è un’arte. Io sono contrario alle parolacce. Troppo facile, troppo banale, troppo scontato cavarsela con uno “stronzo”. Troppo riduttivo. Un insulto va personalizzato, costruito, ricamato. Un buon insulto merita il diritto d’autore. Ci può anche scappare la parolaccia, ma solo se inserita in un certo – oddio, che cosa sto per scrivere – contesto. E ogni lingua è un patrimonio di doppi sensi, una miniera di immagini, un tesoro di espressioni che possono trasformare un insulto quasi in un’opera d’arte.
Difficile stilare una classifica. Ma ai primi posti metterei tre comici come Aldo, Giovanni e Giacomo (“Perché mai dovrei offenderti? Ci ha già pensato madre natura”), un attore come Totò (“Lei è un cretino, s’informi”), uno scrittore come Tiziano Sclavi (“Non prendertela se ti considerano mezzo scemo, si vede che ti conoscono solo a metà”), un fumettista e illustratore satirico come Altan (“Lei è un coglione”, “Maledizione, un’altra fuga di notizie”).
La scoperta più importante riguarda proprio il calcio. Ecco la notizia: esistono calciatori che conoscono l’arte dell’insulto. Come James Milner, dell’Aston Villa, quando disse: “Ho visto Savo Milosevic sputare contro i nostri tifosi, ma conoscendolo, credo che li abbia mancati”. Milosevic era un attaccante con la fama di chi si mangiava parecchi gol. O come Graeme Le Saux, del Chelsea, quando insinuò: “Gianfranco Zola porta sempre con sé un vocabolario italiano-inglese. Intendiamoci: gli serve per salirci sopra”. Il forte di Zola non era l’altezza.
Nella storia del rugby si ricordano il “grande bastardo” affibbiato dallo scozzese Gavin Hastings all’All Black Jonah Lomu; l’”imbecille” (in italiano) regalato da Bernard Laporte a Christophe Dominici, rispettivamente allenatore e ala della Francia, dopo che Dominici si era lasciato sfuggire il pallone già in area di meta in un Sei Nazioni contro l’Italia; e “corre come un vitello castrato”, dedicato dall’inglese Wilt Carling all’australiano David Campese. Ma qualcosa di buono c’è anche nel rugby. Come lo sfogo dell’All Black Grant Batty contro l’inglese Jonny Wilkinson: “Molti si annoiano a morte per il suo gioco. A sapere che sarebbe diventato un ‘kicking game’, un gioco a base di calci, William Webb Ellis non avrebbe mai preso il pallone fra le mani e non avrebbe mai corso in meta. Quella era l’idea del rugby”. O come la puntualizzazione dell’allora capitano dell’Inghilterra Martin Johnson a proposito di un giudizio espresso dall’allora allenatore dell’Inghilterra Clive Woodward: “Ha detto che gli italiani sono pericolosi, ma probabilmente si riferiva soltanto al loro modo di guidare la macchina, non di giocare a rugby”.
Insuperabile negli insulti rimane Muhammad Ali. Prima di combattere contro Sonny Liston, detto l’Orso, per il titolo dei massimi, nel 1964, dichiarò che “Liston è così brutto che, quando piange, le lacrime scorrono dietro, sulla nuca”. Sempre nella boxe, quanto a perfidia, Rocky Graziano non era da meno: “Io e Jake LaMotta siamo cresciuti nello stesso quartiere. Sapete quanto era popolare Jake? Quando giocavamo a nascondino, nessuno andava a cercarlo”.
Ma gli insulti, per diventare efficaci, devono essere capiti. “Ho detto a Gascoigne”, raccontò George Best, “che il suo QI era più basso del numero della sua maglia”. Il livello del quoziente d’intelligenza è un bersaglio sensibile quasi quanto – chiamiamola così – la dimensione sessuale. “Ma lui mi fa: che cos’è il QI?”.
di Marco Pastonesi
Per seguire Marco e le sue storie di ciclismo ecco il link alla sua pagina facebook
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.