Il presidente FIR Gavazzi la scorsa settimana ha ribadito la sua volontà nel portare i Mondiali in Italia. Ma c’è un ostacolo enorme
Dopo alcuni giorni in cui siamo stati rapiti da quanto avvenuto sui campi (fine settimana di Pro12, partenza dell’Eccellenza) e nei piani più alti dei palazzi che governano Ovalia – ogni riferimento alla vicenda che riguarda il futuro delle competizione europee per club non è affatto casuale – vogliamo tornare su un dettaglio ribadito dal presidente federale Alfredo Gavazzi circa una settimana fa e sfuggito ai più. O quantomeno poco ripreso dai media. Perché il numero uno della FIR mentre era a Milano per la cerimonia di presentazione del massimo campionato nazionale è tornato pubblicamente a parlare della possibilità di organizzare in Italia i Mondiali. Quelli “maggiori”, nono solo quelli Juniores come già avvenuto nel 2011 e come avverrà nel 2015. Una boutade? Potrebbe essere ma non ci scommetteremmo: Gavazzi è uomo che non si lascia sfuggire nulla a caso e se in una occasione del genere dice pubblicamente certe cose vuol dire che quel progetto è ben radicato nella sua testa.
E un Mondiale in Italia è un qualcosa ormai di quasi inevitabile – prima o poi succederà – la questione riguarda il quando.
Per l’organizzazione del torneo 2015 l’Italia presentò all’IRB un piano strutturato, tanto che a un certo punto anche in ambienti federali l’ottimismo non mancava. Poi arrivò la candidatura inglese e la partita finì.
Di una nuova rincorsa per il 2023 si parla da tempo, prima con Dondi e ora con Gavazzi. Ora però è il momento di quagliare, perché subito dopo la RWC 2015 l’IRB sceglierà i paesi organizzatori delle edizioni 2023 e 2027 (nel 2019 si va, com’è noto, in Giappone). Se c’è da preparare un dossier non c’è più tempo da perdere.
Noi di OnRugby siamo i primi a sperare che un simile evento possa essere organizzato all’interno dei nostri confini ma non vi nascondiamo che non sono poche nemmeno le perplessità. Che non riguardano la FIR o l’eventuale appoggio economico/finanziario del governo (necessario anche se difficile da ottenere in un periodo come quello attuale) ma uno dei capitoli-base di un qualunque dossier iridato: gli stadi. Quello delle strutture sportive è un problema enorme in Italia. Un mondiale di rugby al di qua delle Alpi dovrebbe totalmente appoggiarsi su stadi già utilizzati dal calcio, impianti che hanno bisogno come il pane di rinnovamento e restauro già da alcuni anni. Un rinnovamento più volte rinviato nel corso degli anni a causa anche di un gioco a rimpiattino per sostenere i costi tra società di calcio, enti locali e governo.
Ma alla fine quello della risistemazione non è nemmeno il problema maggiore. Magari quello più pesante dal punto di vista economico, ma la roba da farsi venire il mal di testa è un’altra e ha a che fare con l’attuale destinazione di quelle strutture: proprio il calcio. Un anno fa, di questi tempi, il test-match con l’Australia veniva rifiutato nel giro di qualche settimana da Bologna e Torino con motivazioni simili: il “no” delle squadre di serie A per l’utilizzo del campo. Società che non sono nemmeno proprietarie degli stadi in questione (come è noto solo la Juventus ha uno stadio completamente suo) ma capaci di porre veti alle amministrazioni comunali anche solo per una gara. Cosa succederà quando ci sarà da discutere dell’utilizzo di oltre una decina di stadi in un arco temporale che va da metà settembre a metà/fine ottobre quando cioè la stagione calcistica è nel suo pieno?
Anche l’Inghilterra ha avuto il suo bel da fare per affrontare questo problema, e stiamo parlando di un paese con una tradizione rugbistica che noi possiamo solo invidiare e che può contare su strutture dedicate che noi non abbiamo, Olimpico di Roma a parte.
Un problema davvero grosso, inutile giraci attorno. Irrisolvibile? No, nulla lo è, ma forse è il più grosso ostacolo verso il sogno-Mondiale. E tenuto conto che le candidature “nemiche” potrebbero avere i nomi di Sudafrica, Irlanda o USA dove gli stadi certo non mancano…
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