Concussion, dal Sudafrica arriva un nuovo allarme: i test sono falsati

Dopo la denuncia di Rory Lamont arriva quella di Jon Patricios, direttore di Sport Concussion South Africa

ph. David Gray/Action Images

Il sasso l’aveva lanciato quest’estate Rory Lamont, ex internazionale della Scozia ritiratosi dopo una serie incredibilmente lunga di infortuni. Il casus belli che aveva suscitato le parole di Lamont era stato un’episodio avvenuto nel corso del terzo e decisivo match tra Australia e Lions: dopo appena cinque minuti George Smith riceve da Genia e impatta violentemente contro la testa di Hibbard. Il flanker Walabies ha la peggio ed esce visibilmente scosso dal campo, salvo poi rientrare cinque minuti dopo. Nel corso di quella manciata di tempo, il giocatore, sostituito temporaneamente,  è stato sottoposto al PSCA (Pitchside Suspected Concussion Assessment), un test per valutare l’entità dell’impatto subito alla testa e in definitiva rivelare se l’atleta sia in grado o meno di rientrare in campo. Si tratta di un esame molto simile all’Obiettivo Neurologico Generale, e consiste in una serie di domande (le cosiddette Maddocks Question, ovvero: dove siamo, a che tempo di gioco siamo, chi ha segnato per ultimo, contro chi hai giocato l’ultima partita, hai vinto l’ultima partita) e di test fisici (seguire con lo sguardo una mano in movimento, toccarsi il naso con un dito, esercitare pressione con le mani) volti ad indagare se le normali funzioni cerebrali del giocatore siano state alterate in seguito al trauma. Se il PSCA dà risultati negativi, il giocatore non rientra in campo e nei giorni successivi viene sottoposto ad un test comparativo, il CogState Sport Test, che valuta i riflessi dei giocatori attraverso uno schermo che mostra segnali luminosi che il giocatore deve seguire. Il risultato ottenuto post-trauma viene quindi messo in relazione con quello ottenuto nel corso della preseason, in condizione di piena salute. Se il risultato post trauma è inferiore, il giocatore resta fermo. E qui ritornano le parole di Lamont, che quest’estate ha affermato che i giocatori deliberatamente falsificano il test ottenendo risultati scarsi, in modo da poterli facilmente raggiungere anche in situazione di post trauma. Le parole di Lamont, hanno trovato proprio in questi giorni un importante eco nella persona di Jon Patricios, presidente dell’Associazione Medici dello Sport sudafricana e fondatore e direttore dell’organismo Sport Concussion South Africa, che si occupa proprio di studiare gli effetti dei colpi alla testa negli sport di contatto. In un’intervista rilasciata al Mail On Sunday, Patricios ha dichiarato: “Ci possono essere distrazione volontarie per fare un punteggio basso nel test. Stiamo lavorando per cercare di valutare una concussion senza aver bisogno di un test”, anche se la cosa richiederà tempo, e Patricios si augura che siano i giocatori in prima persona a capire l’importanza della questione. Già, perché in ballo c’è la salute dei giocatori. Che, forse, tra contratti e impegni sempre più frequenti e sempre più esigenti sul piano fisico, perdono di vista un importante aspetto con cui il rugbista d’élite moderno deve forse iniziare fare i conti.

Di Roberto Avesani @robyavesani

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