Marco Pastonesi ci porta nel cuore della pianura Padana, a Piacenza. Dove c’è un club che lotta tra mete e solidarietà
Melchiorre Dadati era un professore di educazione fisica, non di inglese. Tant’è vero che quando andò a depositare e registrare il nome della squadra di rugby (l’altro suo amore era il nuoto) che aveva concepito e fondato, e di cui sarebbe diventato allenatore, per tradurre “Leoni” scrisse “Lyons” e non “Lions”. E quando qualcuno si accorse dell’errore, ormai si erano tutti affezionati a quella “y”. Forse perché nessuno è perfetto. Forse perché ci s’innamora delle imperfezioni. O forse perché anche Rugby la cittadina e rugby lo sport hanno la loro y, perdipiù finale.
Se le squadre vincessero per spirito e simpatia, e non per mete e calci, i Lyons non abiterebbero nella A1 italiana, ma frequenterebbero la Celtic League, se non addirittura il Super 14 dell’emisfero australe. Cinquant’anni di vita ovale dall’errore di Dadati, detto Dado, uomo verticale che di facce ne aveva una e non sei, morto cinque anni fa, a quasi 77 anni. I suoi Lyons hanno sempre avuto una vocazione per il settore giovanile, un’aspirazione all’eccellenza, intesa non solo come categoria agonistica ma anche morale, e poi belle facce, belle storie, belle figure.
I Lyons sono il campo Beltrametti, e Walter Beltrametti era un altro Maci Battaglini. I Lyons sono stati Buscarini e Dioli, Tamborlani e Orlandi, Bertoncini e Pattarini. I Lyons sono stati anche Vincenzo De Masi in panchina e Max Capuzzoni in campo. I Lyons sono stati Arthur Stone, l’All Black numero 832, 23 partite con nove test-match e cinque mete, e Nairn McEwen, allenatore della Scozia.
I Lyons, adesso, sono anche il francese Aristid Barraud, apertura, Filippo Dadati, seconda linea, che non è parente di Melchiorre, e Kelly Rolleston, neozelandese, estremo quando giocava nel Petrarca e a Calvisano, ora allenatore con Bruno Mozzani.
Per il mese di novembre, i Lyons si sono inventati baffi, maglia rosa e asta. Cioè: Movember. Che è il matrimonio fra “moustaches” e “November”. Un bel paio di baffi, fatti crescere nel mese di novembre, per richiamare l’attenzione su un problema superiore perfino agli ascensori nelle touche. Iniziativa nata tra i rugbisti australiani nel 2003, poi diffusasi, come giocando al largo, dovunque. Stavolta i Lyons, oltre a esibire baffettini stilizzati alla Salvator Dalì o baffoni western alla Burt Reynolds (ma, volendo, si propongono anche modelli “gringo”, “porn star”, “business man” e “after eight”), hanno adottato una muta di maglie rosa (non il rosa delle maglie rosa del Giro d’Italia: questo è un po’ più fucsia) e poi, sabato sera, al Temple Bar (via X giugno 98, Piacenza) un’asta con il 100 per cento del ricavato che andrà alla campagna Movember, per la ricerca contro il cancro alla prostata.
All’incanto maglie azzurre firmate da Leonardo Ghiraldini e Alessandro Zanni, la maglia del Viadana firmata dal capitano Gabriel Pizarro, la maglia del Calvisano firmata da Paul Griffen, addirittura il pallone di Italia-Australia firmato dai Wallabies. E il sostegno di tanti club, dal Piacenza al Gossolengo, e l’aiuto degli old di Piacenza, e la partecipazione di Wasps, Biarritz e Stade Français.
E siccome il rugby fa gruppo, ecco alla serata di Movember anche la Copra Elior (pallavolo maschile) e la Rebecchi Nordmeccanica (pallavolo femminile), con tanto di maglie dei capitani Hristo Zlatanov e Manuela Leggeri.
Paolo Nucci, seconda linea dei Lyons come suo padre Stefano e, a tempo perso, commerciale estero in una ditta di raccordi industriali, confessa che “il nostro Movember sta diventano molto più grande di quello che potessimo immaginare”. Ma i Lyons sono fatti così: ruggiscono. Nella giungla africana e sui campi italiani. Il loro unico peccato, a quanto pare, è stato solo quello originale della y.
di Marco Pastonesi
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