Ha fatto molto rumore una intervista rilasciata dal monumento del rugby gallese. Ma ha davvero ragione?
Dice che oggi nel rugby gli atleti sono tutti più grossi. Ed è vero. Dice poi che i giocatori più piccoli prima o poi spariranno dai campi di gioco proprio in virtù dell’aumento della richiesta di atleti fisicamente prestanti, e questo non è mica tanto vero. Dice poi infine che così il rugby morirà e qui, diciamola tutta, la fa un po’ fuori dal vaso.
JPR Williams è una leggenda della storia del rugby. Di più, è un personaggio dal peso specifico enorme e non è nemmeno un “normale” campione. Perchè in vita sua ha pure trovato il tempo di essere un discreto giocatore di tennis e oggi fa il chirurgo. Di atleti laureati in giro per il mondo ce n’è un po’, di atleti che hanno raggiunto le sue vette sportive senza abbandonare una carriera studentesca di quel tipo ce n’è invece pochissimi, forse nessuno. A parte JPR Williams, s’intende.
L’ex estremo gallese il 29 novembre ha rilasciato una intervista a ESPNscrum in cui sosteneva gli assunti che abbiamo riportato all’inizio in questo articolo. Una intervista che ha avuto vasta eco in tutta Ovalia, rilanciata da media e siti di ogni dove.
Ora, che il rugby professionistico stia portando a un generale irrobustimento degli atleti che lo praticano è una evidenza incontrovertibile, che questo porterà alla “sparizione” dei giocatori di taglia più piccola – diciamo così – lo è assai meno. Diminuiranno? Mah, un mediano di mischia alto due metri per oltre 100 chili di peso non avrebbe probabilmente quella rapidità e quella elettricità necessaria. Lo stesso dicasi per altri ruoli, tipo quello che ricopriva lo stesso Williams.
Dice poi che la fisicità ucciderà il talento. Anche qui c’è parecchio da ridire. La fisicità fine a se stessa sì, può farlo, ma il rugby moderno di altro livello richiede fisicità ASSIEME a capacità tecniche consequenziali. Con il solo fisico non si va da nessuna parte, e noi in Italia dovremmo saperlo bene… Serve forse a colmare un po’ più in fretta certi gap, ma la tecnica è conditio sine qua non per fare il salto di qualità. Era vero ieri, è vero oggi e lo sarà domani.
Williams fa l’esempio di George North, dice che ai suoi tempi uno con quel fisico sarebbe stato una seconda linea. Probabilmente ha ragione, ma c’è anche un rovescio della medaglia: lo stesso George North pur nella sua straripante fisicità è un esempio della qualità tecnica necessaria ancora oggi (e lo sarà anche domani) per giocare a certi livelli. E giocatori piccoli o dalle corporture “normali” non mancano. Uno come Ben Smith, per fare un esempio, non è certo un gigante. E in giro ce n’è un po’. Meno che in passato? Probabile, ma da qui a parlare di “morte del rugby” ce ne passa.
“I rugbisti di oggi avranno problemi di articolazioni vent’anni prima della nostra generazione”, dice JPR. Sarà così? Sicuramente i fisici degli atleti contemporanei subiscono più sollecitazioni, ma sono al contempo anche più preparati. E no, non è probabilmente corretto dire che questa situazione è dovuta a “preparatori atletici che devono giustificare i loro alti stipendi”. Non si deve confondere una conseguenza con una causa.
Il professionismo ha cambiato radicalmente il rugby. In meglio o in peggio? Mah, difficile dirlo. E’ un po’ come discutere del sesso degli angeli: ognuno ha la sua risposta e probabilmente sono tutte corrette. C’è molta più fisicità, sicuro, ma in giro di talento ce n’è a chili.
Dire che ieri era meglio di oggi lascia il tempo che trova e non stupisce che un ex giocatore dia una valutazione superiore all’epoca che lo ha visto protagonista rispetto a quelle che lo hanno preceduto e seguito. E’ umano. Succede in tutte le discipline e ogni epoca ha la sua specificità.
Un po’ meno comprensibile che ad applaudire – “a prescindere”, verrebbe da dire – alle dichiarazioni di JPR Williams ci siano persone che quel tempo non lo hanno potuto vivere e respirare per mere questioni anagrafiche. Vedere una partita degli anni ’70 su youtube non è la stessa roba che vivere quel mondo. Ma questa è tutta un’altra vicenda.
Il Grillotalpa
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