Il giorno dopo il primo derby celtico, cerchiamo di capire cosa ci ha detto il campo. E perché, a volte, chi gioca meglio non vince..
Ci si aspettava un match più chiuso, più tattico, più da talpe che non da predatori della savana. E invece leoni e zebre hanno dato vita ad un incontro non solo combattuto fino alla fine come era nelle previsioni, ma anche giocato a viso aperto, in libertà, con buchi, recuperi, offload e ricicli veloci che hanno reso gli ottanta minuti più che piacevoli. Dopo ciò che abbiamo visto in campo, se fosse stata una partita di calcio avremmo detto che il pareggio era il risultato giusto. Ma siccome con la palla ovale pareggiare è difficile, cerchiamo di capire cosa ieri ha funzionato meglio e cosa peggio nelle due squadre.
Zebre: i federali sono entrati in campo più agguerriti, convinti delle loro potenzialità e consapevoli che l’occasione di espugnare Monigo era più che concreta. Un primo tempo intenso, disputato con una salita difensiva egregia e palla in mano attaccando la linea con decisione, vincendo spesso la collisione e trovando in almeno due nitide situazioni la linea difensiva veneta poco reattiva e mal posizionata. La meta di Bortolami ha legittimato un primo quarto giocato con lucidità e aggressività in entrambe le fasi, mentre quella di van Schalkwyk ad inizio ripresa è arrivata al termine di un’azione davvero ben eseguita, fatta di nove fasi equamente distribuite da Leonard (fondamentale per questa squadra) tra avanti e linea veloce, coinvolgendo i quindici in campo come squadra. Piano piano le Zebre sono poi sparite, e nonostante la superiorità in touche non sono riuscite a portare a casa il risultato. Ancora una volta, decisivi sono stati gli errori. Quello di Leonard prima e quello collettivo poi, in occasione della meta di Vosawai, che trova una guardia troppo debole davanti a sé. L’errore di Palazzani, che nelle ultime giornate ha fatto più che bene, è sintomo di eccessiva fretta e di mancanza di lucidità nei momenti cruciali: senza garanzia di un vantaggio e con la difesa in arretramento, forse era meglio insistere in modo abrasivo prima di giocarsi la carta drop. Ma si sa, imparare a vincere è parte fondamentale del percorso di crescita di una squadra.
Benetton: la prima di Marius Goosen è una vittoria nel derby, e questo rimarrà scritto nelle statistiche e impresso nella mente del nuovo coach. Sul piano del gioco, però, nel primo tempo i veneti non hanno brillato. In attacco poche idee e spesso facilmente lette dai federali, in difesa collisioni perse e in mezzora un solo placcaggio in avanzamento (Ghiraldini su Geldenhuys). Senza la manona di Van Zyl probabilmente l’inerzia del match sarebbe scivolata in mano ospite, ma le partite, specie i derby, non si scrivono coi se, e allora merito a Treviso per averci creduto, per aver ritrovato ordine nella ripresa, e soprattutto per non aver avuto fretta di marcare, errore commesso invece dagli ospiti. Ancorandosi ai due punti di forza di giornata, la mischia ordinata e l’indisciplina ospite, sono bastati due calci per assicurarsi i quattro punti, e per dimostrare ancora una volta che una squadra più matura anche se gioca peggio può vincere. La grande bravura di Treviso è stata non tanto quella di aver giocato meglio nella ripresa, quanto piuttosto di non aver permesso agli avversari di rendersi pericolosi, costringendoli nella loro metà campo grazie ad un gioco lucido e non fuori dai binari, come forse era stato quello del primo tempo, quando i veneti hanno peccato di mancanza di ordine. Per il resto, serve trovare un’alchimia migliore tra i reparti, riordinare le idee in touche e ritrovare l’aggressività difensiva. Appuntamento alla gara di ritorno. La sensazione è che vedremo un’altra bella partita.
Di Roberto Avesani @robyavesani
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