Il destino gallese, una spada di Damocle anche sul rugby italiano

In caso di strappo l’intero torneo celtico subirebbe un radicale mutamento. E bisognerà forse prendere una decisione…

ph. Sebastiano Pessina

And what about the Celtic cousins? Già, che ne sarebbe dei cugini celtici se veramente le quattro regions gallesi strappassero con la federazione e si unissero ai club inglesi? Il problema del Galles è anche il problema di Scozia, Irlanda, e ovviamente Italia. Dall’esito della battaglia tra la Welsh Rugby Union e le quattro franchigie dipendono anche i destini delle altre squadre compagne di avventura nel Pro 12. Le voci più insistenti che arrivano dalla terra del dragone riferiscono che in caso di strappo la WRU sarebbe pronta a creare due o tre nuove squadre (nel nord e nell’est del paese). In questo modo si potrebbe mantenere pressoché intatto il format del torneo celtico, che perderebbe al più due formazioni. Ma che squadre subentrerebbero? Squadre verosimilmente più giovani, e nelle quali non vedremo nessuno o quasi dei top player che tanto la federazione cerca di trattenere. Insomma, squadre certamente più deboli, che abbasserebbero il livello di una competizione che soffre in qualità e quantità nei confronti della Premiership e del Top 14.

 

Avrebbe senso a questo punto prendervi parte? No, se esistessero alternative valide. Ma a tutt’oggi, e probabilmente per molto tempo ancora, di alternative (leggi campionato nazionale di alto livello) non ne esistono. Uscire dal Pro 12 significherebbe anzitutto perdere i migliori giocatori. Diversi atleti di Treviso ma anche zebrati tra Premiership, Top 14, Pro D2 e RFU Championship (ex National Division One), troverebbero la propria collocazione. Il resto, giovani forti ma non abbastanza e fine carriera, finirebbe in Eccellenza, che sicuramente farebbe qualche passo avanti in direzione degli altri due principali campionati nazionali europei, ma ancora rimarrebbe lontanissima da quelli standard pressoché inavvicinabili. Anche con tre nuove gallesi, e anche se le irlandesi e le scozzesi dovessero perdere giocatori (se le gallesi andranno veramente per la loro strada, avranno bisogno di rose più profonde, e un po’ andrebbero a pescare), comunque quella celtica rimarrebbe una competizione superiore all’Eccellenza che si verrebbe a formare.

 

In caso però di strappo gallese e di non iscrizione italiana ad un’eventuale nuova Pro 10 (o 11 o 12 che sia), bisognerebbe pensare anche all’aspetto economico. La partecipazione alla Celtic, con tutto ciò che ne deriva, rappresenta per il bilancio FIR una delle fette maggiori alla voce “uscite”. Dove destinare quei soldi? All’Eccellenza, alla base, o magari a entrambi? Per una porta che si chiude, altre se ne possono aprire, e l’importante in questi casi è sfruttare tutto ciò che di positivo una situazione di per sé negativa può offrire. Potrebbe essere l’occasione per una svolta, per “franchigizzare” i nostri club migliori, dotandoli ciascuno di una propria accademia, organicamente legata al proprio territorio di riferimento? Potrebbe essere l’occasione di “importare” tecnici stranieri qualificati che insegnino a coloro i quali andranno poi ad insegnare il rugby ai giovani? Potrebbe essere l’occasione per aiutare la vita (che sempre più spesso è mera sopravvivenza) delle società, dalle strutture ai progetti scuola? Potrebbe essere l’occasione per la via nazionale all’alto livello? Ecco, forse allora dall’uscita dalla Celtic qualcosa di positivo si potrebbe ricavare: delle cifre da investire. Ma più grave di non avere soldi è il non saperli spendere. Per questo, forse, rimanere assieme ai cugini potrebbe essere la scelta giusta.

 

Di Roberto Avesani @robyavesani

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