In una intervista il ct azzurro registra obiettivi e problemi. Poi lancia un avvertimento: “Il torneo celtico è fondamentale”
Un bel Sei Nazioni e poi due tour in cui da salvare c’è davvero poco o quasi nulla. Jacques Brunel non si è mai nascosto e non ha mai cercato alibi e ora – a poche settimane dal debutto nella più importante competizione dell’Emisfero Nord (e non solo) il ct azzurro va al contrattacco con una intervista rilasciata a Domenico Calcagno del Corriere della Sera. Perché quei due tour giocati così male? «La difesa. Nel Sei Nazioni dello scorso anno abbiamo concesso poco. Nelle ultime due partite, a Twickenham con l’Inghilterra e a Roma con l’Irlanda, zero mete subite. Poi si è rotto qualcosa». E il tecnico individua nelle assenze di Favaro e Minto (definiti “placcatori formidabili”) e negli errori individuali la chiave di volta negativa.
Poi guarda avanti, a quel 2015 che “sarà l’anno dei bilanci, il Sei Nazioni e poi il Mondiale. Sono sempre convinto che essere competitivi contro tutti sia un obiettivo possibile. Mantengo le mie ambizioni, anzi le ambizioni della squadra”.
Quindi una battuta per tornare a sottolineare il problema relativo all’applicazione delle nuove regole della mischia (“quando giocavo a Grenoble, negli anni ’80, il mio allenatore diceva: ai miei tempi nessuno conosceva le regole, nemmeno gli arbitri e tutto funzionava. Adesso tutti pensano di conoscerle
e non si capisce niente”) e poi uno sguardo al futuro del movimento azzurro con la questione celtica: “Avere due squadre che giocano in Celtic è fondamentale. Non posso nemmeno pensare di tornare indietro. (…) E’ la condizione irrinunciabile per crescere».
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