Una lunga intervista con il giocatore degli Wasps che parla di Nazionale, di caos celtico, e del perché in Inghilterra sfornano grandi giocatori
Tutti noi abbiamo sperato di leggere il suo nome nella lista dei trenta convocati per le prime due partite del Sei Nazioni. Purtroppo il problema al ginocchio non l’ha permesso, ma Andrea Masi ha assicurato che farà di tutto per esserci a Roma contro la Scozia. Con lui abbiamo avuto una lunga conversazione, nel corso della quale abbiamo parlato di Nazionale, di modo di lavorare inglese, di giovani e di tanto altro ancora. Ad un anno di distanza dalla prima (che potete rileggere qui e qui) , ecco la seconda intervista di OnRugby ad Andrea Masi.
La prima domanda, ovviamente, non te l’avrei fatta se avessi visto il nome nella lista dei 30. Come va il recupero?
Va bene e sto molto bene. Ho iniziato proprio questa settimana a fare allenamento completo a pieno regime, anche col contatto. Spero di tornare in campo tra due settimane per la partita di LV Cup. Mi sentirei pronto anche a giocare da subito, ma i dottori preferiscono sempre aspettare qualche settimana in più.
Così inizi a mettere minuti nelle gambe
Indubbiamente c’è bisogno di minuti. Ma soprattutto c’è bisogno di minuti di qualità ad alto ritmo. Vanno bene LV Cup o Amlin per iniziare, ma poi avrò bisogno di due tre partite in Premiership per ritrovare l’alta intensità, perché il livello del Sei Nazioni è altissimo e se non sei abituato a quel ritmo poi soffri parecchio.
Possiamo segnare sul calendario il 22 febbraio (data della sfida interna contro la Scozia)?
Farò di tutto per esserci, perché sarà una partita fondamentale. Spero di giocare il più possibile prima di allora. Anche perché c’è da riscattarsi da un novembre così così.
Immagino avrai visto tutti e tre i nostri test. Che idea ti sei fatto da fuori?
Certo, le ho viste tutte. Mi sono chiesto parecchie volte cosa potesse essere cambiato rispetto al Sei Nazioni scorso, che probabilmente sotto ogni punto di vista è stato il migliore di sempre, per livello di gioco e di impatto fisico. Già nel tour estivo in Sudafrica forse c’erano dei segnali negativi, ma allora si poteva pensare alla stanchezza di fine stagione e alle tante partite. Su novembre davvero faccio fatica a capire cosa sia successo. Mi auguro che sia stato un incidente di percorso, adesso dobbiamo riprenderci e ritrovare il livello che ci compete.
Nell’intervista fatta con noi quasi un anno fa hai parlato di Brunel come di un allenatore più propositivo e più desideroso di creare gioco rispetto a Mallet. Non è che dopo l’euforia del Sei Nazioni ci siamo scoperti non pronti per questo tipo di gioco?
E’ un passaggio che prima o poi dovevamo assolutamente fare. Non potevamo rimanere la squadra difensiva che cerca di limitare i danni. Jacques [Brunel, ndr] ci ha proposto l’atteggiamento migliore da avere in campo. Probabilmente sulle prestazioni di novembre ha influito negativamente anche l’andamento delle nostre due squadre in Pro 12. Treviso sta soffrendo un po’ di più, e questo si riflette anche nell’andamento della nazionale.
Sul Pro 12 torniamo più avanti. Chiudiamo con la nazionale e con la chiusura delle carriere internazionali che sempre si verificano dopo appuntamenti importanti come i Mondiali. Siamo pronti per il dopo Mondiale e per l’eventuale ricambio?
Credo che i giovani stiano lavorando bene e che stiano uscendo giocatori interessanti. Certo che però ci vuole tempo. Ricordo quando abbiamo esordito noi “senatori”, eravamo tutti giovani e all’inizio abbiamo sofferto, preso batoste e fatto errori. Però anche questi sono fondamentali per la crescita. C’è bisogno di tempo ma soprattutto di dar loro continuità nell’alto livello, perché solo con l’esperienza e col vissuto a livello internazionale possono crescere. Tra essere un giocatore interessante ad essere un giocatore di alto livello c’è una bella differenza. Bene le prestazioni positive nel Pro12, poi però ti devi confrontare col meglio che c’è in Europa e nel mondo. Credo nel lavoro e nella costruzione nel tempo.
Potremmo ipotizzare una linea di tre quarti davvero molto giovane nel Sei Nazioni. Un limite, forse, ma anche un grande stimolo. I problemi arrivano quando non li hai i ricambi più giovani…
Sì, sono molto d’accordo. Poi in Italia c’è molta propensione a criticare i giovani che non entusiasmano subito. Devono avere tempo di formarsi.
Forse tutti noi, tifosi e addetti, dopo l’entrata in Celtic siamo diventati più impazienti. Abbiamo pensato fosse la panacea per recuperare tutta la strada di svantaggio
Ma in Europa ci si muove più velocemente. Ci sono federazioni con una tradizione e un’esperienza diversa, più antica, si lavora ad alto livello da più tempo, ed è difficile stare dietro a questo rugby in continua evoluzione. Noi ci siamo sviluppati da poco.
Dovremmo allora iniziare ad imparare da chi è più bravo. Mi riferisco per esempio ai tecnici
Su questo sono completamente d’accordo. Bisogna sempre guardare ai migliori e avere l’umiltà di copiare e chiedere aiuto a chi ha un’esperienza diversa. A volte siamo un po’ arroganti e pensiamo di sapere già le cose, ma le conoscenze che si possono avere non sono mai troppe. Bisogna guardare a chi da tanti anni fa bene e magari appoggiarsi a loro.
La nazionale inglese di calcio non esitò a chiamare Fabio Capello, e così quella irlandese con Trapattoni e Tardelli
I paesi anglosassoni sono molto più aperti e molto meno arroganti di quanto si possa pensare.
I giocatori italiani che hanno avuto esperienze importanti all’estero una volta finita la carriera possono dare qualcosa al rugby italiano? Nella scorsa intervista dicevi che ti piacerebbe allenare e insegnare, magari ai trequarti
Per quanto riguarda me ancora non so. Certamente chi ha vissuto esperienze diverse e in campionati differenti può dare tanto. Ho avuto un’esperienza francese, poi sono tornato in Italia e infine sono approdato qui in Premiership. Ho visto diverse scuole di rugby, diversi modi di preparare le partite e di lavorare, e quindi magari uno alla fine riesce a prendere gli aspetti migliori di ognuno. Noi che abbiamo giocato all’estero abbiamo questa grande fortuna.
Prendere il meglio e poi metterlo a disposizione…
Non è facile come sembra. Riportarlo e metterlo a disposizione è più complicato, bisogna avere le giuste qualità e capacità di trasmettere il tuo vissuto. Allenare non è semplice. Sento tanti che mi dicono che potrei essere un grande allenatore solo per le esperienze che ho fatto, ma non è così. C’è una bella differenza tra fare e comunicare.
A proposito dei diversi campionati e dei diversi sistemi ovali che hai testato, cosa ti piace più della Premiership e del modo di fare rugby inglese?
Tra tutte le esperienze fatte questa è quella che più mi sta piacendo. Il modo di giocare e di preparare le partite sono eccezionali, così come la loro mentalità iperprofessionale che non lascia niente al caso. Qui si prepara tutto, è tutto perfetto. E soprattutto qualunque cosa si fa ha una logica alla base.
Anche in allenamento?
Gli allenamenti sono corti ma più intensi che in qualunque altra realtà. Fisicamente si lavora molto duro, però senza mai superare la soglia. E’ tutto studiato, tutto innovativo e tutto mirato a perfezionarsi e migliorarsi. Sul campo massimo cinquanta minuti, non si corre mai più di due giorni di seguito. Lo staff è preparatissimo, dai tecnici ai preparatori ai medici. Sono loro i primi a volersi migliorare, guardano alle realtà più avanzate e cercano di copiare. A me piace molto come ragionano e come lavorano.
E’ un modo di vivere il rugby che consiglieresti a chiunque, ci pare di capire
Indubbiamente. Poi questo è un club storico, con una lunga tradizione e con uno staff, ripeto, di primo livello.
Senti ma coi ragazzi dell’Academy avete contatto sportivo oltre che umano?
I ragazzi sono sempre al club con noi, non ci si allena insieme ma se c’è bisogno di qualche giocatore soprattutto in Lv Cup o a volte anche in Amlin, per integrare il gruppo dando riposo a qualcuno, allora viene inserito.
Insomma, l’Accademia è legata al club. Non forma il giocatore per poi abbandonarlo…
E’ no, questo è fondamentale. Tutto il buon lavoro fatto va trasferito e associato a un club. Qui è completamente diverso.
Vedi possibile una cosa del genere da noi?
E’ possibile, ma difficile. Ancora non c’è molta sintonia tra Federazione e club, ancora non si coopera come si dovrebbe. Sarebbe un aspetto fondamentale per la crescita dei giovani. Prima di tutto però servono lavori mirati, serve una programmazione di lungo periodo affidata a persone con competenze e idee. Poi ci sono altri aspetti, più generali e imprescindibili.
Ovvero?
Non so se ora come ora i club di Eccellenza siano in grado di formare al meglio un giovane, non so se ci sia materiale umano e tecnici di qualità capaci di far esprimere i giovani al loro massimo potenziale.
E poi al Sei Nazioni Under 20 si scontrano giocatori di A1 e A2 con ragazzi inglesi che hanno presenze in Lv Cup o addirittura qualcosa di più..
Beh qui è completamente diverso. Comunque fisicamente non si lavora male, i giovani italiani che arrivano sono pronti fisicamente, sono forti, veloci, hanno tutte le qualità fisiche. Rispetto ai pari età delle federazioni più forti però sono indietro tecnicamente. Buoni atleti ma giocatori non educati, non preparati tecnicamente al meglio. Qui a vent’anni sei pronto fisicamente, tecnicamente e mentalmente.
Torniamo un attimo al Pro12 e alla sua incertezza. La Celtic è fondamentale o possiamo farne a meno, puntando magari su un Eccellenza di maggiore qualità?
La Celtic è indispensabile. Confrontarsi con i migliori è necessario. Anche perché se dovesse finire l’esperienza celtica tutti i giocatori cercherebbero e troverebbero strada all’estero, e quindi l’Eccellenza rimarrebbe quella. Più che altro ne faccio una questione di ritmo: i campionati devono preparare al livello internazionale, e il ritmo gara contro Ospreys o Leinster è molto vicino a quel livello, così quando poi vai a giocare il Sei Nazioni non c’è un grosso divario. Per questo tornare all’Eccellenza sarebbe un grosso passo indietro.
E se uscissimo e tutti giocassero ad alto livello all’estero?
E’ possibile, ma per l’immagine della Federazione avere tutti i giocatori della nazionale che giocano fuori non sarebbe il massimo.
Dovessimo rimanere in Pro 12, dovessero risolversi le controverse nate attorno alle coppe, potresti pensare ad un ritorno in Italia?
Io ho appena firmato altri due anni coi Wasps. Ancora non c’è l’ufficialità ma ho firmato, quindi spero di chiudere la mia carriera qui. Certo la situazione attuale in Italia è difficile. Parlo spesso coi ragazzi di Treviso e Zebre, e questa incertezza influisce sulla prestazione.
Difficile pensare solo al campo e a non ciò che avviene fuori…
Sicuramente ciò che è fuori va ad influire. Non puoi non pensarci, se hai una famiglia, dei bambini, non è semplice trovarsi a quattro mesi dalla fine del campionato e non sapere dove giocherai.
E tra di voi in Inghilterra parlate della situazione coppe europee?
Sinceramente non ne parliamo molto. Credo che troveranno una situazione, perché le Federazioni hanno bisogno l’una dell’altra. Però nello spogliatoio non ne parliamo molto, qui c’è un campionato nazionale molto forte e solido.
A proposito, come va la stagione?
Fino ad ora abbastanza positiva. Abbiamo iniziato non benissimo perdendo alcune partite di qualche punto, adesso si inizia a vedere il lavoro dei tecnici e si vede nel gioco. Abbiamo tanti giovani di qualità più alcuni innesti di esperienza. Il nostro obiettivo è il sesto posto, e tolte le prime due che fanno corsa a parte [Northampton e Saracens] ci siamo. Speriamo di passare il turno in Amlin, il club ci tiene molto.
E’ seguita la Amlin? Appassiona tanto il tifoso?
Certamente. Ci sono partite bellissime, come il nostro quarto di finale dell’anno scorso contro Leinster poi vincitore del torneo. Una partita bellissima e di altissimo livello. Qui hanno un enorme rispetto per le competizioni.
In bocca al lupo per tutto Andrea. Ci vediamo a Roma..
Farò di tutto per esserci. Non hai idea di quanta voglia ho di rientrare.
Di Roberto Avesani @robyavesani
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