Verso Italia-Scozia: Alessandro Zanni allarga le spalle e alza la diga azzurra

Intervista a uno dei pilastri di nazionale e Benetton Treviso, un giocatore di cui si parla sempre troppo poco e a cui piace stare lontano dalla ribalta

E’ uno di quei giocatori che vorresti avere sempre in squadra, per la serietà e la professionalità con cui affronta ogni situazione, ed  inoltre è una delle terze linee migliori che vi siano in circolazione. Stiamo parlando di Alessandro Zanni, una delle garanzie della Benetton Treviso e della Nazionale azzurra. Contro il Galles una prestazione di assoluto livello, contro la Francia un po’ di riposo dopo una striscia di 57 partite con l’Italia. A pochi giorni dalla sfida contro la Scozia, e in un momento difficile per la sua Benetton, l’abbiamo intervistato per sapere come vanno le cose sia nel gruppo azzurro che in quello celtico.

 

C’era molta attesa per vedere come saremo tornati in campo dopo un giugno e un novembre sottotono…
Iin queste due prime partite del Sei Nazioni abbiamo fatto un passo avanti rispetto alle ultime uscite. Certo, dobbiamo ancora crescere perché sono arrivate due sconfitte, ma i passi in avanti ci sono stati. Bisogna lavorare ancora molto, ma è innegabile che soprattutto in difesa siamo tornati ai livelli che ci competono. Con la Francia siamo stati in partita tutto un tempo, e poi abbiamo pagato le distrazioni ad inizio ripresa. Ma sia a Parigi che a Cardiff abbiamo cercato di esprimere il nostro gioco ed essere incisivi.

 

Paul Griffen nell’intervista che ci ha rilasciato la scorsa settimana  ci ha detto che col modo di giocare di Brunel in campo ci si diverte di più…
Stando in determinati dettami, Jacques [Brunel] lascia ai giocatori la libertà di cercare in modi diversi una soluzione offensiva, che sia un uno contro uno o un offload. Qualunque cosa purché si dia avanzamento alla squadra, pur rispettando determinate consegne di gioco. Non dobbiamo più prediligere un solo reparto, ma alternare il gioco della mischia e quello dei trequarti, riuscendo ad essere imprevedibili partendo anche dalla fase statica.

 

A proposito di fasi statiche, a Parigi in mischia ordinata in alcune occasioni siamo stati dominanti e in altre dominati. Il nuovo ingaggio rende difficile capire i reali equilibri?
Probabilmente è una caratteristica data dalle nuove regole. Fare la mischia ora è molto più difficile, i meccanismi sono più o meno stati conservati ma ora sbagliare l’ingaggio e la spinta è più facile. Comunque, sia a Parigi che a Cardiff piloni e tallonatori hanno fatto una grande partita. Anche in touche siamo andati bene, dalle chiamate all’esecuzione del salto. Quando tutti conoscono bene i movimenti è più facile essere veloci ed efficaci. Sulle fasi statiche stiamo lavorando parecchio, studiando anche diverse opzioni.

 

Che partita ci aspetta contro la Scozia?
Non bisogna dipingere questa partita come facile. Non saranno giocatori fantasiosi come gallesi e francesi, ma dal punto di vista fisico ci sono e vogliono sempre dominare. Hanno una difesa abrasiva e che mette pressione sui punti d’incontro. E inoltre le prime due partite che hanno fatto forse non hanno reso proprio giustizia, a sprazzi hanno fatto vedere ottime cose.

 

Dalla Nazionale passiamo alla Benetton e al Pro12. Pochi giorni fa, una sconfitta davvero pesante. Come te lo spieghi?
Quando non sei in campo è difficile commentare, ma sicuramente il risultato è stato pesante. C’è molta amarezza da parte di tutti perché Treviso è una famiglia e un gruppo unito. Tra noi e gli Ospreys non c’è tutta questa differenza, il passivo va molto oltre la reale differenza tra le due squadre. Ora dobbiamo fare quadrato e finire bene la stagione.

 

Una stagione iniziata con ben altre aspettative…
Quest’estate siamo partiti con molte attese e questo forse ci ha messo un po’ sotto pressione. Non ci siamo espressi sui nostri livelli e sono arrivate diverse sconfitte, alternate invece a prestazioni più convincenti. Poi quando inizi a scendere in una spirale negativa è sempre difficile fermarsi e invertire la marcia. A volte poi le nostre partite hanno vissuto di due volti, con troppa differenza nel livello di gioco tra un tempo e l’altro.

 

Non essere abituati a giocare sotto pressione  può avervi messo in difficoltà? Certe volte magari si dà il meglio proprio quando non si ha nulla da perdere…
Ma se sei un giocatore internazionale devi saper giocare sotto pressione e con attorno delle aspettative. Il finale della scorsa stagione è stato di alto livello e tutto lasciava presagire un passo in avanti. Purtroppo non ci siamo confermati, e sarà necessario un esame di coscienza per capire cosa non ha funzionato, anche perché bene o male siamo la stessa squadra dell’anno scorso che sia in casa che fuori era riuscita ad essere performante ad ogni partita. Ma mi piace tirare conclusioni e guardarmi indietro solo a fine anno: ora bisogna invertire la rotta. Ma ti ripeto, a questo livello devi saper giocare sotto pressione.

 

E l’addio di Smith vi ha in qualche modo condizionati?
A mio avviso è una vicenda che non ha influito più di tanto. Sapevamo che a fine anno avrebbe potuto continuare o meno, era a fine contratto e poteva accadere di tutto. Questo comunque non deve disturbare un giocatore, che deve sempre andare al massimo e non guardare al futuro. Il suo addio non ha più di tanto cambiato le carte, anche perché siamo professionisti ed è normale che succedano queste cose e che ognuno faccia le sue scelte, ma il giocatore deve essere sempre al 100% indipendentemente da ciò che avviene fuori dal campo.

 

C’è la sensazione di essere arrivati alla fine di un grande ciclo?
Personalmente non mi sento di dire che è finito un ciclo. Più che di fine di un ciclo parlerei di annata storta. E queste annate capitano. Mi è successo anche a Calvisano un anno difficile, è una cosa normale nello sport. La cosa è più grande di te, fai fatica a capire e a cambiarla. Chiaro che dispiace molto non aver rispettato le aspettative, e questa è la maggiore delusione. Poi certo, sicuramente la situazione che si è creata attorno al rugby italiano ed europeo non aiuta.

 

A proposito di questo, che giocatore sei dopo gli anni di Celtic?
La Celtic mi ha fatto crescere tantissimo. Anzi, sono amareggiato per non averla iniziata quattro o cinque anni prima. La mia generazione ha iniziato a giocarci intorno ai 25 anni, quando devi essere già un giocatore maturo. Prendi ad esempio Campagnaro, Esposito e Sarto, a 20 anni sono già pronti per il livello internazionale, cosa che noi a suo tempo non eravamo giocando in Top10. O meglio, alla loro età potevamo anche giocare a livello internazionale, ma non con la stessa attitudine, aggressività e ritmo a cui un campionato come la Celtic ti abitua. Se settimana dopo settimana giochi a questo livello ti migliori per forza. Poi certo, c’era chi a 20 anni era già di un certo livello, ma ora la Celtic forma al meglio i giovani e questo è il beneficio maggiore del farvi parte.

 

Possiamo farne a meno?
Assolutamente no. È stata ed è importante per la costruzione e la maturazione dei giocatori, li ha migliorati e resi pronti da subito all’alto livello. Di fatto è una componente importante del rugby italiano, e personalmente non ci rinuncerei per nulla al mondo, poi chiaramente non sta a me prendere questa decisione. Ma è innegabile quanto di buono ha fatto, il livello del vecchio Top10 non è minimamente paragonabile.

 

Il futuro di Zanni giocatore dipende anche da come si risolveranno le cose o è già stabilito?
Io sono un giocatore della Benetton e c’è ancora una stagione da finire. L’obiettivo è quello di invertire la rotta e terminare nel migliore dei modi la stagione celtica di Treviso.

Di Roberto Avesani @robyavesani

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