Su Repubblica di oggi Massimo Calandri riesce a mettere assieme i mali di un intero movimento con una lucidità e sintesi davvero rara
Ci sono a volte degli articoli capaci di scattare una fotografia quasi perfetta di un panorama. Poche parole misurate che sono quasi inattaccabili. Articoli che sono l’incubo (sì, più o meno…) di ogni giornalista. Intendiamoci, degli altri, di chi non li ha scritti ma che tanto avrebbe voluto farlo…
Oggi c’è qualcuno che ha scritto un pezzo così: Massimo Calandri, che sulla pagine dell’edizione romana di Repubblica, riesce a mettere assieme i principali mali del rugby italiano sottoponendoli a numeri, cifre e commenti autorevoli. Il consiglio è di cercare di recuperare l’articolo.
Calandri ricorda i 400 milioni di euro arrivati dal board del Sei Nazioni a partire dal 2000 (e i 5 cucchiai di legno), dell'”ossessione per gli asterischi”, ovvero i giovani formati nelle accademie, e nonostante questo del ricorso continuo agli oriundi (5 nella gara di debutto contro la Scozia quasi 15 anni fa, 7 sabato scorso contro l’Inghilterra).
E poi le opinioni. C’è quella di Diego Dominguez: «In Italia si è fatto molto poco per la formazione. Nessuno ha insegnato la tecnica, è mancata la programmazione: la consapevolezza che ci si doveva dedicare soprattutto ai bambini, ai piccoli dagli 8 ai 14 anni». C’è Giancarlo Dondi che fa autocritica: “Se guardiamo dove eravamo allora e dove siamo arrivati oggi, sembra impossibile. Giochiamo con le squadre più forti del mondo, a Roma vengono ventimila inglesi. Mi dò una colpa, in tanti anni di presidenza: aver demandato ad altri la gestione del settore tecnico”. E quella di Vittorio Munari: “Quindici anni fa avevo già lanciato l’allarme: se vogliamo diventare grandi per davvero pensiamo ai settori giovanili, basta con il clientelismo. Invece no. Oggi a chi viene affidata la didattica? A vecchi personaggi senza curriculum ma in grado di portare voti alle prossime elezioni. Continuiamo a barattare denaro e potere, ma non è così che resteremo nel Sei Nazioni».
E poi ci sono i numeri, le cifre e anche le opinioni del giornalista. Opinioni magari discutibili (come tutte) ma mai fuori obiettivo: “Invece di investire nei giovani, magari assumendo già nel Duemila 20 tecnici stranieri (francesi, argentini, neozelandesi: fate voi) che avrebbero potuto formare duecento e poi duemila allenatori italiani, si è preferito cedere ai ricatti clientelari: spartire a pioggia il “tesoretto” in modo da garantirsi i voti sufficienti per mantenere lo status quo. Tanto, c’è sempre tempo per trovare un nonno italiano a qualche buon giocatore dell’altro mondo. O no?”.
Oppure: “Alfredo Gavazzi, nel 2012 ha annunciato la nascita di 9 Accademie e 36 Centri di formazione per ragazzi dai 16 ai 20 anni («Nemmeno gli All Blacks», ha ironizzato Martin Castrogiovanni). Ogni Accademia costa intorno ai 400.000 euro l’anno, per i centri si va dai 20 ai 50.000 euro. A libro paga quasi 120 fra tecnici e preparatori atletici, più di 70 hanno uno stipendio annuale superiore ai 30.000 euro. Uno sforzo economico impressionante per dare un qualche nutrimento alle due franchigie ma a scapito dei piccoli e grandi club”.
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.