Andiamo in Romagna con Marco Pastonesi, alla scoperta di una società davvero particolare e forse unica nel suo genere
Non ha il fisico del rugbista: la circonferenza dei suoi quadricipiti è inferiore a quella dei bicipiti di Leigh Halfpenny. Non ha l’età del rugbista: semmai ha quella di Jason Leonard, cioè di un old. A dirla tutta, non ha neanche il nome e il cognome del rugbista: Mauro Ciancone suona meno primitivo di Adam Jones e meno nerboruto di Martin Castrogiovanni. Ma è un rugbista – nel suo piccolo – dalla testa ai piedi, in lungo e in largo, anche a testa e croce. Perché ci crede. E perché ha un cuore. Grande così.
Il rugby è un raggio di sole (ed è stato anche un raggio di David Sole, pilone scozzese, e di Josh Sole, seconda e terza linea azzurra). Colpisce e illumina. A volte trasforma e converte, come un calcio giusto dopo una meta. Il raggio del rugby ha colpito Mauro quando era meglio che non si tuffasse più nelle ruck o resistesse nelle maul. Ma si può giocare a rugby anche facendolo giocare. Era l’ottobre del 2006. Si ritrovarono in sei, a bere una birra. Mauro ricordò, agli altri cinque, quella vecchia idea. E lì, in un giardino pubblico di Ravenna, all’angolo fra Via degli irlandesi e Via dei neozelandesi (non sarà mica un caso, quell’incrocio), i sei strinsero un accordo fra gentiluomini. Presero carta e penna, inaugurarono il documento con una formula da carabinieri (addì…), poi vergarono i dieci comandamenti, e adesso quella tavola biblica è sotto vetro, a metà fra la Sacra Sindone e certe ciliegine.
Si battezzarono Società di San Giorgio. Perché la prima vittoria del rinato Ravenna Rugby Club era avvenuta proprio il 23 aprile, giorno di San Giorgio; perché San Giorgio è il patrono protettore dell’Inghilterra; e perché l’Inghilterra è la patria del rugby. E perché affidarsi a un santo, nonché martire, e a dirla tutta sponsor degli scout, può essere una scorciatoia per arrivare, prima o poi, al Titolare, insomma al Principale, insomma al Presidente. La filosofia, semplificando, e un po’ anche santificando ma non martirizzando, è portare la gente al rugby oppure il rugby alla gente. Una squadra di rugby che non gioca a rugby ma che sostiene, salta, spinge, che qualche volta si rifugia in touche, ma che più spesso libera e contrattacca.
Così la Società di San Giorgio organizza cene sociali, presentazioni di libri, tornei ovali (come, in settembre, il Memorial Sangiorgi e Pasolini, due rugbisti morti), scambi culturali e centri estivi, gestisce il merchandising (T-shirt, maglie, felpe), propone una borsa di studio per un Under 18 (a quella per un Under 16 ci pensano i Passatelli, gli old del Ravenna). Cerca di immaginare e progettare anche un nuovo campo, con tanto di club house, studio di fisioterapia, negozi e – perché no? – biblioteca (Ciancone, mando a dirlo, ci metterebbe i suoi libri).
Che superi l’attuale sistemazione in un centro sportivo (il nome, Dribbling, la dice lunga sull’origine culturale), che dedica due campi al chiuso al calcetto e un campo all’aperto al rugby, prima condiviso a fatica con quelli del calcio, adesso forte di una sua identità, con la stanza che funge da sede, e con il pentolone per il terzo tempo.
Mauro Ciancone è il tipo che si rimbocca le maniche e fa il lavoro sporco in modo pulito. Telefona, scrive, messaggia. Organizza, fissa, segnala. Carica, scarica, s’incarica. Comunica, trasmette, collega. Non si perde mai d’animo. Non è mai volato con il pallone in mezzo ai pali, non ha mai sfiorato l’erba di Twickenham, non ha mai conquistato un “cap” neanche nel campionato riserve. Ma se il rugby italiano si diffonde (a Ravenna i tesserati sono più di 250, la franchigia Romagna è passata, in otto anni, da 120 a 1600 giocatori) è anche per merito di un rugbista come lui. Ciancone ha una fortuna, e un privilegio, rari: avere una moglie gallese. Lei sa che cosa significa vivere una vita ovale, senza neanche il bisogno di una spiegazione.
di Marco Pastonesi
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