La questione permit sarà affrontata in FeIR. Accontentare tutti sarà difficile, ma forse bisognerebbe pensare un po’ meno al proprio orticello…
È stato uno degli aspetti tra i tanti di cui Gavazzi ha parlato nel corso del tradizionale pranzo post Sei Nazioni con la stampa. Si parlava di permit players, e il Presidente ha espresso la difficoltà di riuscire a coordinare in maniera ottimale i movimenti di giocatori tra l’Eccellenza e le franchigie di Pro12. Con chi si tesserano questi giocatori, con il club di Eccellenza e poi si muovono verso l’alto, oppure con quello celtico e poi si muovono verso il basso? Ma più che questo problema, di carattere formale più che di sostanza, la vera questione è un’altra, e in tempi molto recenti ci abbiamo pure fatto i conti. “ La preoccupazione è che l’Eccellenza venga condizionata dalle assenze”. La paura, dei presidenti dei club prima che del Presidente federale, è che si creino malumori in seguito alla possibile scelta dei permit da parte delle squadre celtiche. Nella settimana che ha preceduto la finale del Trofeo Eccellenza ha tenuto banco la possibile richiesta da parte della Benetton di alcuni giocatori di Rovigo, impegnato nella finale poi maldestramente persa contro le Fiamme Oro. Posto che è sacrosanto diritto di un presidente avere a disposizione i giocatori per cui ha investito i propri soldi, resta la sensazione che l’Italia potrebbe essere ancora non pronta ad adottare un sistema di vere franchigie per una questione prima “morale” che sportiva.
Rinuncerebbe un club di Eccellenza ad un giocatore titolare per prestarlo al club celtico di riferimento, che magari lo terrebbe solamente in panchina o come numero 24 in lista? Fossimo in un paese con più tradizione e cultura ovale, una simile opportunità sarebbe forse presa dal club come una vittoria più che come una privazione. Una vittoria del club e del suo staff, che hanno formato un giocatore al punto da renderlo eleggibile come permit players per competere in una partita di livello superiore a quello cui è abituato. In Italia ci sono club molto forti e radicati, dall’identità territoriale ben definita. Posto che le richieste devono essere regolamentate sia quantitativamente che qualitativamente tra le squadre che fanno da potenziale bacino, i club dovrebbero forse pensare un po’ meno al proprio orto e un po’ più al parco dell’intero movimento. Ciò spronerebbe gli stessi a lavorare sia tecnicamente che fisicamente sui più giovani, portandoli il prima possibile al livello della prima squadra per sopperire all’eventuale mancanza dei permit.
Di Roberto Avesani @robyavesani
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