Caso Aironi: una sentenza che farà giurisprudenza. E discutere…

Il Tribunale di Mantova si è espresso sul fallimento dell’ex società. Una sentenza molto tecnica, ma che parla di professionismo

Crediti riconosciuti a tutti gli ex giocatori (e agli ex dipendenti?) ma soprattutto il riconoscimento di una condizione di “lavoro subordinato”. Una sentenza molto tecnica, ma che potrebbe avere una serie di ricadute importanti nel prossimo futuro: per la prima volta un tribunale riconosce i giocatori quali professionisti.

 

COMUNICATO G.I.R.A. 24/04/2014 – Ieri mattina presso il Tribunale di Mantova si è svolta l’udienza della procedura fallimentare di Aironi Rugby SSD, n. 101/2013, alla quale ha presenziato G.I.R.A. con l’Avv. Federico D’Amelio ed il Collaboratore Dott. Marcello Mugnone.
L’Associazione, infatti, offre un patrocinio gratuito a tutti i giocatori cd. “free Agent”, cioè non seguiti da un Procuratore, allo scopo di consentire loro una tutela nelle sedi competenti, e coordina le azioni individuali seguite da altri Legali.
Ebbene, al di là del fatto che tutti i giocatori ex Aironi hanno visto riconosciuti per intero i propri crediti (tecnicamente, sono stati ammessi al passivo), il fatto eclatante è che è stata attribuito ad essi la qualifica di “crediti da lavoro subordinato”, assistiti dal privilegio generale di cui all’art. 2751 bis n. 1 codice civile.In parole povere, travestiti a livello federale da “dilettanti”, i Giocatori celtici “scoprono” (…) or ora, nelle aule giudiziarie, di non esserlo affatto! In passato taluni Giocatori avevano ottenuto un risultato simile (l’ammissione al passivo “in privilegio”), ma venendo qualificati quali “lavoratori autonomi” (dal Tribunale di Venezia).
L’inquadramento del rapporto, invece, avanti il Tribunale di Mantova, è stato legato alla categoria del “lavoro subordinato” (in linea con l’univoca giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, la quale da sempre ha stabilito che l’unico parametro di distinzione tra attività sportivo-dilettantistica e sportivo-lavorativa è costituito dallo svolgimento di prestazioni sportive retribuite o non retribuite, dovendosi incentrare l’analisi sul caso concreto).Tale “evoluzione” in Italia porta a notevoli risvolti.
E’ oramai pacifico che la qualifica in senso lavorativo o meno del rapporto sportivo deve avvenire indipendentemente dalla qualificazione giuridica attribuita dalla Federazione di appartenenza, nel caso di specie la Federazione Italiana Rugby.
Non si può semplicisticamente considerare la prestazione dei top player italiani alla stregua di quella di un “amateur”, colui cioè che si dedica allo sport per mera passione, come pratica salutistica del tempo libero, per definizione antinomica al concetto di lavoro.
In effetti è dagli anni ’80 che si discute di figure ibride quali il “dilettante che lavora”, il “professionista di fatto”, il “dilettante retribuito”, il “professionista irregolare”, etc., sempre rimarcandosi la natura sostanzialmente lavorativa dell’attività (esclusiva, onerosa e continuativa) e cercando, con differenti teorie, di ricondurre il fenomeno quantomeno alla prestazione d’opera retribuita.
Su queste basi si era “ardito”, in passato, qualificare il rapporto sportivo come di “lavoro autonomo” (per l’appunto nel caso del Fallimento Venezia Mestre Rugby), ma non ci si era spinti fino alle soglie del “lavoro subordinato”.
D’altra parte come si può pensare che un nazionale Australiano, Sudafricano, Neozelandese, possa varcare i confini dell’Italia e diventare tutto d’un tratto… dilettante? 
Ciò non bastasse, non è la sola Sezione Fallimentare del Tribunale suddetto ad aver preso posizione, ma anche la Sezione Lavoro del medesimo Ufficio Giudiziario: se da una parte sono state respinte, allo stato, le eccezioni basate sull’asserita vigenza del “vincolo di giustizia” (principio che vincolerebbe i tesserati a procedere con un arbitrato federale nelle vertenze con le rispettive società sportive o con la FIR, anziché potersi tutelare davanti ad un Giudice), dall’altra la qualifica di “lavoratore subordinato” ha consentito di superare le clausole arbitrali imposte nei contratti dalle SSD e di rivendicare una serie di diritti “nuovi” (per il Rugby).

In definitiva, i Giocatori ex Aironi devono ancora ottenere giustizia “in concreto”, ma almeno, in linea teorica, hanno raggiunto in un paio d’anni importantissimi risultati, per loro e per tutti i Colleghi.

La F.I.R. continui pure sulla sua strada e nelle sue convinzioni, ma non è lontano il tempo in cui certe decisioni non verranno più calate dall’alto degli uffici dello Stadio Olimpico, dovendosi pesare ogni scelta con riferimento a ben altri contesti…

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