OnRugby ha parlato con Federico D’Amelio del Consiglio Direttivo di G.I.R.A. E i temi sul tavolo sono davvero tanti…
La quasi totalità dei giocatori dell’Alto Livello italiano – ma anche molti dell’Eccellenza – sono iscritti a Giocatori d’Italia Rugby Associati, un’associazione nata un paio di anni fa e che vede nel suo board sei atleti (Matteo Barbini, Mauro Bergamasco, Valerio Bernabò, Marco Bortolami, Ezio Galon e Leonardo Ghiraldini) e un legale, Federico D’Amelio, con cui abbiamo fatto la chiacchierata che segue. Temi magari un po’ tecnici e che raramente conquistano le prime pagine dei giornali, ma di vitale importanza per il futuro del nostro movimento.
G.I.R.A. ha ormai quasi due anni, ce lo faresti un bilancio?
In effetti soffieremo sulla seconda candelina tra un paio di settimane! G.I.R.A. cresce e progredisce di mese in mese ed ormai possiamo considerarla una realtà importante nel panorama rugbistico nonché un punto di riferimento fisso per i top player italiani. Certo, la FIR non ci “riconosce”, d’altra parte i parametri regolamentari fissati per il riconoscimento sono “restrittivi”, e tuttavia proprio l’indipendenza di cui godiamo ci permette una operatività a 360 gradi e il fatto che l’Associazione sia costituita di soli giocatori (a parte il sottoscritto) rende il percorso genuino e ancor più entusiasmante.
Voglio puntualizzare che non siamo solo un sindacato-giocatori, ma anche un laboratorio di idee e progetti che consentono ai giocatori di vivere l’esperienza sportiva in modo ampio, oltre che a guardare più consapevolmente al post-carriera.
Dal punto di vista delle attività, ci siamo focalizzati soprattutto sulla tutela della salute negoziando ottime soluzioni assicurative, in Italia e all’estero; sulla previdenza stringendo accordi per la previdenza privata; sulle relazioni con i “cugini” stranieri (IRPA, RPA, IRUPA, RUPA, ndr)) e con altre associazioni giocatori italiane e straniere. Abbiamo varato corsi di formazione, eventi di team building, attività benefiche. Prestiamo consulenza legale, fiscale, contrattuale. Potrei dilungarmi parecchio, ma credo che tanto basti a farsi un’idea.
La sentenza del Tribunale di Mantova ha introdotto per la prima volta in via ufficiale la figura del rugbista professionista anche da un punto di vista contrattuale (ne abbiamo parlato qui). E’ una decisione molto tecnica: puoi cercare di spiegarla in maniera molto semplice?
Discutiamo di una procedura fallimentare (Fall. Aironi Rugby srl ssd, ndr) nell’ambito della quale i crediti dei giocatori sono stati chiesti, proposti ed ammessi con il privilegio che spetta ai lavoratori subordinati. Il riferimento al “lavoro subordinato”, e non ad un rapporto/attività dilettantistica o amatoriale, per quanto doveroso e in linea con l’univoca giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, riporta agli onori della cronaca giudiziaria l’anomalia italiana di negare la qualifica di “professionisti” o “lavoratori” ad atleti che lo sono, di fatto, al 100%. Al di là della Sezione Fallimentare del Tribunale di Mantova, è anche quella del Lavoro del Tribunale medesimo che ci sta offrendo interessanti conferme.
Una simile sentenza che impatto concreto può avere nel medio-lungo periodo, visto che immagino che nel breve non potrà avere grandi effetti…
Ovviamente nessuno, “ai piani alti”, ha interesse a dare risalto alla notizia. La motivazione è presto detta: se i giocatori “diventassero” lavoratori, ci sarebbe la contribuzione da pagare, aumenterebbero le responsabilità e gli adempimenti, e i maggiori oneri e costi complessivi metterebbero in ginocchio molte società sportive già precarie.
Tuttavia non si può neanche ignorare il fenomeno: il capitano della nazionale italiana di rugby non può essere considerato al pari di un amatore che gioca in parrocchia, tanto più che gli basterebbe oltrepassare il confine per ritrovarsi, tutto d’un tratto, ad essere un “professionista”. E guarda caso sono davvero in tanti con la valigia pronta…
Ho sempre il cuore in mano quando spiego ai ragazzi che al termine della carriera, intorno ai 35 anni, non avranno accumulato un solo euro di contribuzione e che, logorati oltremisura nel fisico, avranno difficoltà a cimentarsi con il mondo del lavoro.
G.I.R.A. non chiede la luna: si potrebbero magari apprestare delle tutele per i giocatori “come se” fossero dei professionisti/lavoratori, oppure circoscrivere l’ambito del professionismo allo stretto necessario (giocatori celtici e di eccellenza). Forse anche una “mirata” allocazione delle risorse federali gioverebbe. Bisogna in ogni caso ascoltare di più i giocatori, visto che in gioco c’è la loro carriera e la loro vita, e badare al concreto.
Al vostro recente congresso di Bologna avete spinto con forza verso la creazione di una Lega di club
Personalmente mi sembra indispensabile per il funzionamento di un ordinamento, sportivo e non, che allo stesso tavolo possano sedersi un soggetto istituzionale che media e regolamenta ed altri soggetti rappresentativi di specifici e contrapposti interessi. Dal confronto, e magari anche dalla scontro tra le parti, in una logica democratica, non possono che crearsi equilibri ed assetti nuovi e magari accettabili.
Ebbene, mi piacerebbe che anche nel Rugby tali meccanismi fossero ben “oliati”: a tal fine ogni componente del movimento – giocatori e Società sportive – dovrebbe avere ruolo, voce e peso. In proposito, fonti federali mi assicurano che la LIRE esiste tuttora, ma io leggo più che altro di riunioni tra Presidenti indette dalla FIR. Una Lega dei Club dovrebbe invece avere una vita propria, nel rispetto dell’ordinamento sportivo, e discutere, progettare, magari anche unire le forze.
Esistesse una Lega dei Club, anche i giocatori ne trarrebbero beneficio: ci si potrebbe finalmente confrontare su problemi concreti, trovare soluzioni comuni, ridurre certe distanze. Sia chiaro: lo stato di salute delle società sportive si riverbera anche sui giocatori, per cui c’è tutto l’interesse a collaborare. In tempo di crisi vale la pena di rimboccarsi le maniche a darsi una mano.
Qualche esempio concreto dei possibili materie del confronto? Contratti standard con clausole chiare e condivise; soluzioni assicurative concordate con suddivisione degli oneri; pianificazioni economiche, finanziarie e fiscali di reciproca soddisfazione; iniziative di coinvolgimento di sponsor e appassionati in base a format replicabili su base locale. E chi più ne ha più ne metta.
C’è stata qualche risposta da parte di società e FIR?
Innanzitutto la FIR con noi non parla. O meglio, parla con i giocatori di G.I.R.A., ma rifiuta di considerarli un gruppo unitario “legalizzato”. Sul tema della Lega dei Club, ad ogni modo, non è trapelata neanche una parola. Le società, in verità, si dimostrano assai recettive. D’altro canto molti dirigenti capiscono che il patrimonio di immagine e valori di cui sono portatori i top player potrebbe essere utile, non solo economicamente, e sono ben contenti di ricevere proposte o suggerimenti per il bene dei giocatori e… delle casse societarie.
Quali sono i problemi più urgenti da affrontare nell’attuale panorama rugbistico italiano?
E’ mia personale opinione che serva innanzitutto un esame complessivo ed approfondito dello stato del Rugby italiano, un dialogo ed un confronto sui temi proposti dai protagonisti del movimento, una strategia e delle riforme condivise.
A tal fine, bisogna mettere intorno ad un tavolo le parti/componenti coinvolte – soprattutto società e giocatori, ma non solo – e lavorare insieme, altrimenti è del tutto inutile elencare problemi e necessità se poi a nessuno interessa la tua opinione.
Da parte sua, G.I.R.A. i problemi dei giocatori pro e semi-pro li ha sviscerati ed analizzati grazie a due questionari compilati da centinaia di “celtici” ed “eccellenti”, li ha affrontati e, un po’ alla volta, li sta risolvendo con gli strumenti possibili. Tutto ciò in silenzio, visto che non sembrano esserci tante orecchie pronte ad ascoltare. E’ un peccato, però, si potrebbe davvero fare molto di più con poco di più.
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