Incertezza all’italiana, quando più del problema conta il modo di affrontarlo

La tranquillità è certamente importante e aiuta a giocare meglio. Ma i problemi extra-sportivi possono diventare un alibi?

 

ph. Sebastiano Pessina

Nell’intervista che il ct azzurro Jacques Brunel ha rilasciato a All Rugby e di cui abbiamo ampiamente parlato ieri il tecnico francese ha toccato anche l’argomento della stagione negativa del Benetton Treviso. Inevitabile affrontare tutti i problemi extra-sportivi che hanno reso quantomeno tortuosa e difficoltosa la stagione del club veneto, cosa che si è riflessa anche nella qualità delle prestazioni della nazionale.
Cosa dice Brunel? Ecco le sue parole: “Alcuni giocatori di Treviso sono venuti in tour senza sapere se sarebbero stati confermati o dove giocheranno. Addirittura, non sanno esattamente con chi devono parlare per il loro futuro. Ma nemmeno hanno idea da quando comincerà il ritiro della squadra. Difficile sperare in sensibili miglioramenti senza piani precisi e una collaborazione molto stretta e leale tra FIR e franchigie”.
Che frequentare un ambiente sereno aiuti le prestazioni in campo è una cosa piuttosto ovvia, così come avere certezze per il proprio futuro. Però siamo sicuri che sia cosa così determinante? Forse. Forse dipende dal carattere. Simone Favaro, ad esempio, lo scorso gennaio in una intervista rilasciata a questo sito diceva che “io devo fare il giocatore di rugby e basta. Quel tipo di incertezza a me non pesa, credo pesi molto di più ai dirigenti della società che su questa cosa devono lavorarci, programmare il futuro. Io prendo la cosa nella maniera più positiva: il mio contratto è in scadenza e questa situazione mi deve spingere a dare il meglio, a dare ancora di più per riconquistare la conferma”. Parole rilasciate da un giocatore del Benetton Treviso quando già la stagione era ampiamente compromessa.

 

Guardando all’estero ci sono diversi esempi di giocatori e tecnici che hanno annunciato l’addio dai propri club con grande anticipo senza però provocare sconquassi. Prendiamo il caso Franco Smith: il tecnico del Benetton twitta a fine luglio di un anno fa che al termine della stagione non avrebbe rinnovato il contratto (bisognerebbe anche chiedersi se il club avesse l’intenzione di chiedere di rimanere oltre la fine naturale del suo accordo…) e poi sappiamo come è andata. A Clermont, sempre un anno fa, l’allenatore neozelandese Vern Cotter rimane sulla panchina del club francese nonostante non pochi problemi con parte dello spogliatoio e nonostante la firma con la federazione scozzese per andare a guidare quella nazionale a partire dal giugno successivo. Vero che il Clermont alla fine non ha vinto nulla ma è stato sicuramente autore di una stagione importante, da protagonista.
Allora pesa di più l’addio in sé, l’incertezza o il modo in cui si affrontano e vivono queste situazioni? Sembra una differenza sottile, ma non è così. Poi, se vogliamo rimanere alle parole di Brunel che abbiamo riportato all’inizio di questo articolo, non sembrano essere così corrette perché a maggio quasi tutti i giocatori che hanno lasciato il Benetton si erano già sistemati in club stranieri. La maggior parte in squadre di prima o primissima fascia. Quindi, quale incertezza?
Torniamo perciò a chiedere: pesa di più il problema in sé o il come lo si affronta? Probabilmente la seconda che hai detto, direbbe Quelo-Corrado Guzzanti,  e forse l’atteggiamento che spesso mettono in mostra gli italiani (di tutti gli sport) non è quello più efficace. Una questione culturale che diventa anche – a volte – un comodo alibi, magari a livello inconscio. Ma forse ci sbagliamo. Forse.
E voi cosa ne pensate?

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